I giardini urbani fanno bene alla salute dei cittadini, ma faranno bene anche all’ambiente? Come spiega Renato Bruni, professore di botanica e biologia farmaceutica, la risposta a questa domanda non è per niente scontata. Nel suo ultimo libro Le piante sono brutte bestie (Codice) ci racconta come il suo incontro con le piante sia avvenuto nella prima infanzia, quando insieme al nonno si divertiva a fare piccoli esperimenti botanici nell’orto di famiglia. Una conoscenza pratica, con le mani in pasta, più dettata dalle leggi della tradizione e del passaparola che da quelle della scienza. Ma dopo quell’incontro Bruni ha iniziato studiare le piante molto più da vicino, quasi dall’interno, sotto la lente di un microscopio e nelle provette di laboratorio. Questi due modi quasi incompatibili di conoscere e apprezzare le piante non sono un’esclusiva di chi per mestiere fa il biologo vegetale, ma accomuna tutti noi abituati a “trovare gli spinaci cubettati nel reparto frigo di un supermercato senza sapere come ci siano arrivati e allo stesso tempo capaci di riconoscere la più esotica delle orchidee perché l’abbiamo vista in un documentario in televisione”.
Quello che ci manca è una conoscenza più razionale, approfondita e giustificata da evidenze scientifiche, che ci permetta di capire come il modo in cui ci rapportiamo alle piante abbia un impatto sull’ambiente che ci circonda. Siamo abituati a pensare ai giardini come luoghi idilliaci, a contatto con la natura e capaci di farci sentire bene. Ma quelli che Bruni definisce “giardini manicure” sono luoghi tutt’altro che naturali e rappresentano uno status symbol, un modo per far vedere al vicino che è la nostra erba ad essere più verde, più che un modo per far entrare la natura nelle nostre case. E la loro innaturalezza è dimostrata dagli enormi sforzi che dobbiamo fare per mantenere i giardini in salute, che spesso si traducono in pratiche tutt’altro che “verdi”. Per esempio, chi vuole un impeccabile prato all’inglese di solito lo innaffia poco e spesso. La poca acqua evapora velocemente e non penetra nel terreno, con il risultato che le radici delle piante cresceranno in orizzontale senza andare in profondità, dove potrebbero trovare l’acqua naturalmente presente nel suolo. Così, per mantenerlo in vita saremo costretti a innaffiare sempre più spesso, consumando tanta acqua quanta ne viene usata per una monocoltura di soia.
E gli spechi non riguardano sono l’acqua, ma anche i fertilizzanti e i diserbanti. Il loro utilizzo è regolamentato in agricoltura, ma nei nostri giardini non ci diamo un limite per impedire alle erbacce di crescere o per avere un peperone più grosso. Con il risultato che nell’acqua di fiumi come la Manna, in Francia, circa la metà dei diserbanti inquinanti proviene dai giardini pubblici e privati. Infatti, mentre i microbi nella terra sono capaci di smaltire parte delle sostanze chimiche, i fertilizzanti e i diserbanti usati in città vengono facilmente lavati dall’asfalto con la pioggia, andando a finire direttamente nelle falde acquifere. “Chi coltiva un orto o un giardino ha una grande responsabilità ecologica”. Anche la torba usata nel terriccio in orticultura ha degli effetti indesiderati poco conosciuti. “Costa poco perché è leggera e facile da trasportare, ma la torba il conto te lo fa pagare dopo”. È composta da materiale vegetale che proviene da piante a lentissima crescita, che si accumulano una sull’altra nel corso di decine o centinaia di anni. Per questo motivo le torbiere sono ambienti di fondamentale importanza per rimuovere e l’anidride carbonica dall’atmosfera. Se non vengono toccate, le torbiere possono aiutare a ridurre la concentrazione di gas serra nell’aria, e a mitigare gli effetti del riscaldamento globale. Ma a causa della torba che viene usata ogni anno nella sola Inghilterra viene rilasciata nell’aria una quantità di anidride carbonica pari a quella prodotta da trecentomila automobili. Allora perché non vediamo schiere di ambientalisti che protestano per la protezione delle torbiere? Forse perché non fanno fiori abbastanza attraenti, “non sono ambienti abbastanza sexy”? Soprattutto chi ama coltivare le piante nei propri giardini dovrebbe provare a conoscerle più in profondità, nella loro dimensione ecologica in relazione all’ambiente che le circonda. E in cui noi viviamo. “Perché anziché coltivare piante esotiche sui nostri balconi non proviamo a lasciare un vaso vuoto e aspettare che un seme portato dal vento o da un uccello germogli spontaneamente?”
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