Il piano presentato da Ursula von der Leyen il 4 marzo 2025 mira a mobilitare circa 800 miliardi di euro per rafforzare la capacità difensiva dell’Unione Europea.
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650 miliardi derivanti da una deroga al Patto di Stabilità e Crescita, che consente agli Stati membri di aumentare la spesa per la difesa senza incorrere in procedure di infrazione per deficit eccessivo.
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150 miliardi di prestiti garantiti dal bilancio UE, emessi come obbligazioni comuni, sul modello di NextGenerationEU e Sure.
“Difesa comune vs. riarmo nazionale”
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Definizione dei termini e obiettivi reali
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Difesa comune: alcune critiche da parte dell’opposizione italiana sembra intendere un sistema integrato, potenzialmente un esercito europeo, con una politica estera e di sicurezza unificata. Questo implicherebbe una cessione di sovranità significativa da parte degli Stati membri, un progetto ambizioso ma storicamente ostacolato (si veda il fallimento della Comunità Europea di Difesa nel 1954).
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Riarmo nazionale: sempre i critici interpretano il piano come un semplice aumento della spesa militare dei singoli Stati, senza coordinamento. Tuttavia, i dati mostrano che il piano non si limita a questo: von der Leyen ha esplicitamente menzionato “acquisti congiunti” per ridurre la frammentazione e aumentare l’interoperabilità, un elemento centrale della European Industrial Defence Strategy annunciata nel 2024.
Secondo l’International Institute for Strategic Studies (IISS), nel 2025 l’UE spende già 457 miliardi di euro in difesa, ma oltre l’80% proviene da piani nazionali, con solo il 18% destinato a progetti comunitari. Il piano di von der Leyen cerca di invertire questa tendenza, incentivando la cooperazione. Ad esempio, il rapporto di Mario Draghi (citato da RSI) evidenzia come la frammentazione dell’industria della difesa europea sia un ostacolo all’efficienza e all’interoperabilità, un problema che il piano affronta con misure concrete come gli appalti congiunti.
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Il piano privilegia davvero il riarmo nazionale?
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La critica sostiene che il piano “agevola la spesa nazionale senza porre condizioni sui progetti comuni”. Questo non è del tutto accurato. La deroga al Patto di Stabilità consente flessibilità agli Stati, ma i 150 miliardi di prestiti UE sono vincolati a investimenti strategici, che von der Leyen ha indicato includere “capacità paneuropee” come difesa aerea, missili e droni. Inoltre, il bilancio UE e i fondi di coesione possono essere reindirizzati verso la difesa solo con incentivi specifici per progetti collaborativi.
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Dati concreti: Durante la pandemia, il meccanismo Sure ha finanziato progetti nazionali (casse integrazioni) ma con una regia europea. Il nuovo strumento da 150 miliardi segue un approccio simile, suggerendo un bilanciamento tra flessibilità nazionale e coordinamento comunitario, non un semplice “riarmo nazionale”.
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Interoperabilità dei sistemi
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la critica dell’opposizione lamenta che il piano non ponga condizioni sull’interoperabilità. Tuttavia, von der Leyen ha sottolineato che gli appalti congiunti “ridurranno la frammentazione, aumenteranno l’interoperabilità e rafforzeranno la base industriale di difesa”. Questo è coerente con la Politica di Sicurezza e Difesa Comune (PSDC), che dal 2017 ha promosso iniziative come la Cooperazione Strutturata Permanente (PESCO) e il Fondo Europeo per la Difesa (EDF), entrambi volti a migliorare l’integrazione militare.
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Numeri: L’EDF ha già stanziato 8 miliardi di euro per il periodo 2021-2027, finanziando 61 progetti collaborativi che coinvolgono più Stati membri. Il piano “ReArm Europe” amplia questa logica, non la contraddice.
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La fattibilità della “difesa comune”
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La proposta dell’opposizione di una “difesa comune” come alternativa al “riarmo nazionale” è teoricamente valida ma impraticabile nel breve termine. Creare un esercito europeo richiede anni, se non decenni, come evidenziato da Mario Giro su Vatican News: “Ci vorranno decine di anni” per una politica estera comune e un esercito unificato. Nel frattempo, la minaccia russa e l’incertezza sulla NATO richiedono risposte rapide, che il piano di von der Leyen cerca di fornire.
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Confronto spesa: Se ogni Stato aumentasse la spesa in difesa dell’1,5% del PIL, come stimato, si raggiungerebbero i 650 miliardi in 4 anni. Un esercito europeo integrato, invece, richiederebbe un bilancio comune molto più alto e una volontà politica che oggi manca, come dimostrano le resistenze di Francia e Germania sul nucleare (Der Spiegel).
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L’affermazione di alcuni critici alla proposta europea appare più ideologica che fattuale. Ecco perché:
- Il piano non è solo riarmo nazionale: Include strumenti comunitari (prestiti UE, appalti congiunti) e punta sull’interoperabilità, smentendo l’idea di un approccio puramente nazionale.
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La difesa comune non è un’alternativa immediata: Data la frammentazione politica dell’UE (27 Stati con interessi diversi), il piano di von der Leyen rappresenta un compromesso pragmatico tra integrazione e urgenza, mentre un esercito europeo resta un obiettivo a lungo termine.
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Dati di spesa: La critica ignora che l’80% della spesa attuale è già nazionale. Il piano cerca di riequilibrare questa proporzione, non di perpetuarla.
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