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Che cos’è il Tempo secondo la Scienza?

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“La distinzione tra passato, presente e futuro
è solo un’illusione ostinatamente persistente”
.
Albert Einstein

Che cos’è il tempo? Una domanda semplice solo in apparenza. Per secoli, filosofi, scienziati, teologi e letterati si sono confrontati sul significato di questa dimensione così sfuggente. Albert Einstein, nella prima metà del Novecento, sconvolse la visione classica del tempo, affermando che esso è relativo e fortemente connesso allo spazio (Einstein, 1905). Prima di lui, Isaac Newton ne aveva postulato l’esistenza come assoluta, un flusso uniforme e identico per tutti. Con la teoria della relatività, tuttavia, Einstein mostrò che non solo l’osservatore condiziona la misurazione del tempo, ma anche che il tempo è una vera e propria coordinata che, insieme allo spazio, costituisce lo “spazio-tempo”. Da quel momento in poi, la riflessione non è stata più la stessa.

Oggi il concetto di tempo intreccia competenze e prospettive provenienti dalla fisica, dalla psicologia, dalla neuroscienza, fino ad arrivare alla linguistica e all’antropologia. Il risultato è uno scenario complesso, in cui la scienza non ci offre una singola definizione di “tempo”, bensì diverse chiavi interpretative.

Il tempo nella fisica moderna: relatività e cosmologia

La grande rivoluzione del XX secolo fu la relatività ristretta (1905) e poi quella generale (1915), teorie attraverso le quali Einstein mostrò che il tempo non è un’entità separata dallo spazio, ma una sua dimensione. In pratica, la misura degli intervalli temporali dipende dallo stato di moto di un osservatore rispetto a un evento: due osservatori in movimento relativo tra loro non concordano sulla durata di un fenomeno o sull’ordine di due eventi nello spazio-tempo (Rindler, 1977).

 

 

Questo porta a un concetto cardine: il tempo non è assoluto. Nello scenario einsteiniano, se viaggiamo a velocità prossime a quelle della luce, i nostri orologi rallentano rispetto a quelli di osservatori “a riposo”. Tale effetto, confermato sperimentalmente (Hafele & Keating, 1972), non è solo un esercizio teorico, ma una realtà con cui oggi facciamo i conti per garantire, ad esempio, il funzionamento dei GPS, che devono tener conto delle differenze di scorrimento del tempo a diversa altitudine e in movimento.

La relatività generale estende l’idea, mostrando che anche la gravità influenza lo scorrere del tempo: in un campo gravitazionale più intenso il tempo scorre più lentamente. Il risultato è che il tempo è “plastico”, modellato da velocità e gravità, ed è inserito in una struttura dello spazio-tempo quadridimensionale descritta da Hermann Minkowski, collega di Einstein (Minkowski, 1908).

Il tempo come costruzione mentale: neuroscienze e psicologia

Se la fisica ha rivoluzionato la nostra comprensione del tempo “cosmico”, la psicologia e le neuroscienze hanno mostrato che il tempo, come lo percepiamo, non è affatto lineare o oggettivo. La nostra mente, i nostri sensi e le nostre emozioni influiscono sulla stima dei secondi, dei minuti e persino degli anni. Come mai un momento di pericolo sembra eterno, mentre le ore di un pomeriggio spensierato trascorrono in un attimo?

Secondo il neuroscienziato David Eagleman, esperto nello studio della percezione temporale, il cervello elabora diversi tipi di segnali sensoriali a diverse velocità. Questo produce una sorta di “temporalità multipla” (Eagleman, 2008). L’illusione del tempo rallentato durante una situazione di paura o di pericolo, per esempio, è stata indagata attraverso esperimenti in cui i partecipanti venivano sottoposti a cadute libere controllate. Eagleman dimostrò che l’apparente dilatazione del tempo in situazione di stress è dovuta all’aumento della densità di memorie: più ricordi si formano in un breve intervallo, più l’evento sembra durare a lungo (Stetson, Fiesta, & Eagleman, 2007).

Le emozioni possono quindi deformare la percezione del tempo. Stati di noia, ansia o tristezza rallentano il “nostro” orologio interno, mentre situazioni piacevoli lo accelerano. Questo fenomeno è collegato ai neurotrasmettitori: la dopamina, ad esempio, sembra giocare un ruolo cruciale nel farci percepire il tempo come più rapido, specialmente in contesti ad alto contenuto emotivo o stimolante (Meck, Penney, & Pouthas, 2008).

Età, memoria e cultura: tempo psicologico e tempo sociale

Anche l’età influenza la percezione del tempo. Da bambini, con il bagaglio di esperienze ancora ridotto, gli anni sembrano lunghissimi. Ogni nuovo ricordo, ogni nuova scoperta, dilatano la percezione del tempo. Con il passare degli anni, le esperienze si accumulano e, paradossalmente, più momenti simili viviamo, più il tempo sembra scorrere in fretta. Questo fenomeno è talvolta definito “effetto telescopio”: gli adulti riorganizzano cronologicamente i ricordi in modo non lineare, percependo eventi recenti come più lontani e viceversa (Block & Zakay, 1997).

Ma non sono solo fattori biologici e psicologici a giocare un ruolo. La cultura è un potente modulatore del tempo. L’antropologo Edward T. Hall distingueva tra culture “monocroniche” e “policroniche” (Hall, 1983). Nelle prime, tipiche delle società occidentali industrializzate, il tempo è lineare, sequenziale, una risorsa da misurare e monetizzare (“il tempo è denaro”). Nelle seconde, il tempo è ciclico, ripetitivo, meno legato a scadenze e più all’esperienza presente. Questa differenza culturale influisce sul nostro rapporto con gli orologi, i calendari e l’organizzazione dei compiti, oltre che sulla percezione soggettiva della durata degli eventi.

 

Il tempo nello spazio del cervello

Le neuroscienze hanno cercato di individuare le regioni cerebrali coinvolte nella percezione del tempo. Il cervelletto, i gangli della base, la corteccia prefrontale e l’insula sembrano avere ruoli rilevanti nel “timing” interno, ossia nella capacità di stimare intervalli temporali corti (frazioni di secondi) o lunghi (secondi o minuti) (Ivry & Schlerf, 2008; Wiener, Turkeltaub & Coslett, 2010). Non esiste, però, un “orologio neurale” unico e centrale: la percezione del tempo emerge dall’attività di più circuiti neurali, che integrano stimoli sensoriali, stati emotivi e processi cognitivi.

La soggettività della percezione è ulteriormente confermata dal fatto che il cervello non elabora tutti i sensi alla stessa velocità. Gli stimoli uditivi, ad esempio, vengono trattati in modo più rapido rispetto a quelli visivi, creando discrepanze nella percezione della simultaneità. Questo può portare a illusioni temporali: due eventi uditivi e visivi presentati quasi contemporaneamente potrebbero non essere percepiti come simultanei a causa di differenti latenze di elaborazione nel cervello (Spence & Squire, 2003).

Tempo e linguaggio: l’influenza delle metafore

Anche il linguaggio influisce sul modo in cui pensiamo al tempo. In molte lingue occidentali, il tempo è rappresentato come una linea che va dal passato al futuro, con il presente come punto di riferimento centrale. In altre culture, invece, il tempo può essere concettualizzato come ciclico o come qualcosa che viene “da dietro” anziché “davanti” (Boroditsky, 2001). Le metafore linguistiche non sono semplici figure retoriche, ma strutture profonde del pensiero, che guidano il nostro modo di organizzare l’esperienza.

Tempo e fisica quantistica: un mistero ancora aperto

Se la relatività di Einstein ci ha costretto a riconsiderare la natura del tempo, la fisica quantistica e la cosmologia moderna non hanno chiarito definitivamente il quadro. Alcune teorie, come la Gravità Quantistica a Loop, suggeriscono che il tempo potrebbe non essere una componente fondamentale dell’universo, bensì una proprietà emergente, un fenomeno derivato da processi più basilari (Rovelli, 2004). In questo contesto, il tempo potrebbe dissolversi a scale estremamente piccole, lasciandoci con l’idea che esso sia una nostra costruzione mentale, necessaria per dare ordine all’esperienza, ma non un “mattone” fondamentale della realtà.

I fisici Carlo Rovelli e Julian Barbour hanno discusso la natura del tempo come illusione: per Barbour, il tempo non esiste come entità distinta, ma è una proprietà dei cambiamenti (Barbour, 1999). Rovelli sostiene che il tempo potrebbe essere una sorta di approssimazione macroscopica di fenomeni microscopici senza tempo. Da questo punto di vista, la sensazione umana di un tempo che scorre è un effetto dell’aumento di entropia, cioè del passaggio dall’ordine al disordine (Rovelli, 2018).

Tempo, essenza dell’essere e percezione soggettiva

Il filosofo Martin Heidegger in “Essere e Tempo” (1927) sosteneva che l’essere umano è inseparabile dalla dimensione temporale. Il nostro modo di esistere è intrinsecamente legato alla consapevolezza del tempo: siamo esseri temporali perché ci proiettiamo costantemente verso il futuro, rielaboriamo il passato e viviamo nel presente. Questa riflessione, pur non essendo di natura scientifica, ci ricorda che il tempo non è solo un parametro fisico, ma anche una dimensione costitutiva della nostra esperienza nel mondo.

Dall’infinitamente piccolo al grandioso scenario cosmico, dalla fisica delle particelle alle neuroscienze, dal sociale all’intimo, il tempo emerge come un prisma di cui riusciamo a cogliere soltanto alcune facce. Ciò che la scienza ci offre, dunque, non è una definizione univoca, ma una serie di prospettive:

  • La fisica ci mostra un tempo relativo, plastico, influenzato dalla velocità e dalla gravità.
  • Le neuroscienze e la psicologia evidenziano quanto la percezione del tempo sia soggetta all’influenza delle emozioni, della memoria, della chimica del cervello e del contesto.
  • L’antropologia e la linguistica rivelano che la concezione del tempo è legata a costruzioni culturali e metaforiche.
  • La filosofia ci ricorda la dimensione esistenziale, la proiezione umana verso un tempo vissuto.

In conclusione, “cos’è il tempo secondo la scienza?” La risposta non è univoca. Il tempo è una grandezza fisica indispensabile per descrivere l’universo, ma anche un costrutto mentale e culturale, un prodotto dell’attività neurale e della nostra storia evolutiva. È una dimensione in parte oggettiva, essenziale nella matematica delle teorie fisiche, ma allo stesso tempo profondamente soggettiva, plasmata dalle percezioni e dalle esperienze individuali. Comprendere il tempo significa dunque navigare tra scienza e umanesimo, tra cosmologia e antropologia, tra equazioni e poesia.


Fonti citate:

  • Barbour, J. (1999). The End of Time: The Next Revolution in Physics. Oxford University Press.
  • Block, R. A., & Zakay, D. (1997). Prospective and retrospective duration judgments: A meta-analytic review. Psychonomic Bulletin & Review, 4(2), 184-197.
  • Boroditsky, L. (2001). Does language shape thought?: Mandarin and English speakers’ conceptions of time. Cognitive Psychology, 43(1), 1-22.
  • Eagleman, D. (2008). Brain Time. What is Time? Special Issue, Scientific American Mind, 19(2), 20-25.
  • Einstein, A. (1905). On the Electrodynamics of Moving Bodies. Annalen der Physik, 17(10), 891–921.
  • Hall, E. T. (1983). The Dance of Life: The Other Dimension of Time. Anchor Books.
  • Hafele, J. C., & Keating, R. E. (1972). Around-the-World Atomic Clocks: Observed Relativistic Time Gains. Science, 177(4044), 166-168.
  • Heidegger, M. (1927). Sein und Zeit. Max Niemeyer Verlag.
  • Ivry, R. B., & Schlerf, J. E. (2008). Dedicated and intrinsic models of time perception. Trends in Cognitive Sciences, 12(7), 273–280.
  • Meck, W. H., Penney, T. B., & Pouthas, V. (2008). Cortico‐striatal representation of time in animals and humans. Brain Research, 1212, 3–17.
  • Minkowski, H. (1908). Space and Time. Address delivered at the 80th Assembly of German Natural Scientists and Physicians, Cologne.
  • Rindler, W. (1977). Essential Relativity. Springer.
  • Rovelli, C. (2004). Quantum Gravity. Cambridge University Press.
  • Rovelli, C. (2018). L’ordine del tempo. Adelphi.
  • Spence, C., & Squire, S. (2003). Multisensory integration: maintaining the perception of synchrony. Current Biology, 13(13), R519-R521.
  • Stetson, C., Fiesta, M. P., & Eagleman, D. M. (2007). Does time really slow down during a frightening event?. PLoS ONE, 2(12), e1295.
  • Wiener, M., Turkeltaub, P. E., & Coslett, H. B. (2010). The image of time: a voxel-wise meta-analysis. Neuroimage, 49(2), 1728–1740.

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