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Covid: meno intelligenti e con meno memoria dopo l’infezione

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Depressione, ansia, affaticamento, ma anche problemi di memoria e una riduzione del quoziente intellettivo: questi sono alcuni degli effetti duraturi che il Covid-19 può lasciare, anche a distanza di 2-3 anni dall’infezione e dal ricovero in ospedale, secondo un recente studio pubblicato su ‘Lancet Psychiatry’. La ricerca, condotta da un team di studiosi nel Regno Unito, con il contributo delle Università di Oxford e Leicester, mette in luce la persistenza e l’importanza dei disturbi cognitivi e psichiatrici, oltre all’insorgenza di nuovi sintomi anni dopo l’infezione.

Dai dati del test è emerso che due o tre anni dopo essere stati infettati dal Covid-19, i partecipanti hanno ottenuto in media punteggi significativamente più bassi nei test di attenzione e memoria: in pratica sono stati persi, in media, 10 punti di quoziente intellettivo

Lo studio ha coinvolto 475 persone che erano state ricoverate durante la prima ondata della pandemia. A questi partecipanti è stato chiesto di completare una serie di test cognitivi utilizzando il proprio computer e di riferire la presenza di sintomi come depressione, ansia, stanchezza e problemi di memoria percepiti soggettivamente. È stato inoltre chiesto loro se avessero cambiato lavoro e per quale motivo.

I risultati hanno rivelato che, due o tre anni dopo l’infezione da Covid-19, i partecipanti hanno ottenuto punteggi mediamente inferiori nei test di attenzione e memoria, con una perdita media di 10 punti nel quoziente intellettivo. Inoltre, una parte significativa ha riportato sintomi gravi di depressione (circa il 20%), ansia (12,5%), affaticamento (25%) e problemi di memoria (25%), con un peggioramento nel tempo. Sebbene molti di questi sintomi fossero già presenti sei mesi dopo l’infezione, alcuni individui hanno sviluppato nuovi problemi due o tre anni dopo, suggerendo che i sintomi iniziali possono essere indicativi di disturbi futuri e più gravi, evidenziando l’importanza di un intervento precoce. Inoltre, più di un quarto dei partecipanti ha dichiarato di aver cambiato lavoro, spesso a causa dei deficit cognitivi piuttosto che per la depressione o l’ansia sperimentati dopo la malattia.

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