Medicina

Dipendenza da cocaina tra le donne in Italia: un problema che cresce nell’ombra

27167-Dipendenza da cocaina tra le donne

Un tempo si diceva che la droga fosse roba da uomini. Oggi non è più così. In Italia, l’uso di cocaina tra le donne è in crescita, e non parliamo solo di mondi trasgressivi o notti di eccessi. È una realtà trasversale, che scorre silenziosa nei salotti borghesi, nelle pause pranzo di professioniste insospettabili e nei bagni di locali esclusivi. I dati della Relazione al Parlamento 2024 parlano chiaro: sebbene il consumo maschile sia ancora dominante, quello femminile è in rapido aumento. Un dato che fa riflettere.

Quando la polvere bianca diventa compagna di vita

C’è chi la usa per restare sveglia fino a tardi, chi per reggere ritmi di lavoro impossibili, chi per riempire un vuoto emotivo che nessun altro riesce a colmare. Tra le donne, la dipendenza da cocaina spesso si lega a storie personali complesse: violenza subita, solitudine, insicurezze croniche. L’Istituto Superiore di Sanità ha evidenziato che molte donne con problemi di cocaina vivono situazioni economiche difficili, hanno famiglie sulle spalle o relazioni tossiche da cui non riescono a fuggire. La cocaina, in questi casi, diventa un’illusione di forza, una stampella per rimanere in piedi quando tutto intorno crolla.

La doppia faccia della dipendenza

L’inizio è quasi sempre leggero: una serata, una riga, un gioco. Poi, però, il corpo si abitua. Il cuore accelera, i pensieri diventano frammenti sparsi, la realtà si scompone in episodi che sembrano scollegati. Le donne tendono a sviluppare una dipendenza più rapidamente degli uomini, complici fattori biologici e psicologici. Il rischio di depressione e attacchi di panico schizza alle stelle, il sonno diventa un lusso e l’ansia un compagno fedele. Quando alla cocaina si affianca l’alcol, la miscela diventa esplosiva: il controllo evapora, il pericolo aumenta, le decisioni peggiorano. C’è chi finisce in situazioni al limite, chi si mette alla guida senza pensarci, chi cade nella rete della violenza.

Gravidanza e cocaina: una roulette russa

Quando c’è di mezzo una gravidanza, la faccenda si fa ancora più inquietante. La cocaina attraversa la placenta senza chiedere permesso e colpisce il feto come un pugno in pieno stomaco. Parto prematuro, basso peso alla nascita, danni neurologici: le conseguenze possono essere devastanti. Nei casi più gravi, il neonato viene al mondo in crisi d’astinenza, agitato, con il respiro corto e un pianto che spezza il cuore. Alcuni studi dimostrano che questi bambini, crescendo, sviluppano più frequentemente problemi di attenzione, iperattività e difficoltà emotive. Eppure, il numero di donne incinte che fa uso di cocaina è tutt’altro che trascurabile. Un fenomeno che resta sommerso, nascosto dalla vergogna e dalla paura di essere giudicate.

Perché nessuno ne parla abbastanza?

Il problema c’è, è serio, eppure la questione resta relegata ai margini del dibattito pubblico. Parlare di donne e cocaina significa sfidare tabù radicati: la società ancora fatica a concepire una donna dipendente, come se la tossicodipendenza fosse un’esclusiva maschile. E invece esiste, cresce, e ha bisogno di risposte. Servono strutture di aiuto che comprendano la complessità del problema, programmi di recupero che tengano conto delle specificità femminili, un sistema di supporto che non si limiti a punire ma che offra una reale via d’uscita. Perché una volta che la cocaina diventa parte della vita, uscirne non è una passeggiata. Ma si può. E si deve.

Una via d’uscita: il Centro San Nicola

La cocaina non fa sconti, non concede tregue. Quando diventa un’abitudine, ti stringe in una morsa da cui è difficile liberarsi. Serve uno spazio sicuro, lontano da vecchie tentazioni, dove il caos lasci spazio alla lucidità e la ricostruzione non sia un’utopia. Il Centro per il trattamento delle dipendenze San Nicola, tra le colline delle Marche, è quel luogo. Non una clinica anonima, ma un ambiente pensato per chi ha bisogno di riprendere il controllo senza sentirsi un numero.

Qui il recupero non è improvvisato né standardizzato. Ogni persona arriva con la propria storia, e ogni percorso viene cucito addosso con precisione. Si comincia con la disintossicazione, per rompere l’assuefazione fisica e riprendere fiato. Poi si entra nel vivo: un periodo di residenzialità in cui si lavora su sé stessi, sulle radici del problema, sulle fratture che hanno reso la dipendenza un rifugio. Infine, il follow-up, il passaggio più delicato: rientrare nella quotidianità senza ricadere nei vecchi schemi, con un supporto costante che impedisca di scivolare di nuovo.

Non si tratta solo di strappare via la cocaina dal corpo, ma di ricostruire tutto il resto. E questo non riguarda solo chi ha vissuto la dipendenza, ma anche chi le è rimasto accanto, spesso impotente e logorato. Per questo il Centro San Nicola coinvolge anche le famiglie, offrendo loro strumenti per capire, sostenere e non giudicare.

È un posto per chi vuole rimettersi in gioco sul serio, senza scorciatoie né finzioni. Perché uscire dalla dipendenza non è una questione di forza di volontà, ma di avere il giusto sostegno, nel momento e nel posto giusto.

Comments

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *