La popolazione italiana è sempre più esposta al rischio da frane e inondazioni. Da questi fenomeni naturali ci si può e ci si deve difendere. Sentiamo il parere del Dott. Fausto Guzzetti, Direttore del CNR-IRPI.
Buongiorno Direttore, ci racconti innanzitutto com’è diventato un esperto di frane e inondazioni.
Per caso. Ho fatto una tesi sulla geologia strutturale dell’Appennino umbro-marchigiano, e a quel tempo le frane non le sapevo neppure riconoscere, e le poche che riconoscevo erano un problema perché mascheravano la geologica che era quello che mi interessava cartografare e capire. Assunto al CNR, ho avuto la fortuna di passare un anno e più all’U.S. Geological Survey di Menlo Park, in California, dove a quel tempo lavoravano molti dei maggiori esperti di frane al mondo, con i quali ho avuto l’opportunità e il privilegio di interagire. Questo, unito al fatto che l’unica pressione che avevo al tempo era quella di imparare, e non – come avviene adesso – di produrre e pubblicare in modo ossessivo, mi ha dato l’opportunità di leggere molto, di interagire con esperti di primordine, di discutere con loro, e di farmi una mia idea su cosa sarebbe stato utile fare per far avanzare le conoscenze, sulle frane in particolare.
Quanto e cosa si conosce delle frane e delle inondazioni in Italia?
Conosciamo molto, sia sulle frane che sulle inondazioni (qui un post recente). Non riusciamo però ad applicare in modo ottimale queste conoscenze per ridurre il rischio. I danni economici e in termini di vite umane che subiamo sono molto alti, e non degni di un paese europeo, di un paese moderno. Negli ultimi 20-30 anni abbiamo fatto progressi importanti, ma resta ancora molto da fare. Faccio un esempio: ogni anno in Italia avvengono migliaia di frane, alcuni anni addirittura decine di migliaia, e nessuno le riconosce, le disegna sulla carta o le misura. Lord Kelvin scriveva che “quando puoi misurare ciò di cui parli ed esprimerlo in numeri, ne sai qualcosa. Quando non puoi esprimerlo in numeri la tua conoscenza è insoddisfacente”. E per alcuni versi per le frane siano in questa condizione.
Alcuni anni fa lei disse che “le frane non sono sexy”, perché?
“Perché le frane sono così poco sexy?” era il titolo di una TED talk che ho avuto la fortuna di fare nell’ottobre del 2016 a TEDxCNR. Ad onor del vero l’idea del titolo non fu mia, ma di Giovanni Carrada, un bravissimo divulgatore che mi ha spiegato come condensare il lavoro di una vita in un’idea semplice e comunicarla in 15 minuti. L’idea è che noi delle frane non ci interessiamo perché pensiamo che non siano importanti (non sono sexy, appunto), e questo perché non le conosciamo. Purtroppo, in un paese come l’Italia, le frane sono importanti, eccome lo sono; e a volte lo impariamo nel modo peggiore; quando ci colpisco.
Anche per frane e inondazioni vale la regola “prevenire è meglio che curare”?
Certamente sì. Come per molti rischi naturali, ma anche per altre cose della nostra vita, la salute per esempio. Agire prima, quindi prevenire, è meglio che dover agire dopo una frana o un’inondazione anche perché spesso è troppo tardi ed è facile capire a cosa mi riferisco. In questo caso il problema è che la comunità scientifica non è ancora in grado di trasmettere questo messaggio in modo chiaro e convincente: che prevenire sia meglio che curare. E ritorniamo a quanto scriveva Lord Kelvin.
Allora perché in Italia si spende di più per “curare” e non per “prevenire” frane e inondazioni?
Le ragioni sono tante e di non facile spiegazione; ma una in particolare è importane ed è questa. Negli anni, non è convenuto socialmente e politicamente investire, cioè spendere dei soldi per “prevenire” e quindi per ridurre il rischio. Per troppo tempo alla politica – a tutti i livelli – è convenuto “curare”, spendendo enormi quantità di denaro per riparare i danni e per ricostruire dopo una frana o un’inondazione. Un sindaco che vuole investire in sicurezza deve dire ai suoi concittadini che non possono costruire dove e come vogliono, che devono spendere di più per costruire o ristrutturare la propria casa, o ad alcuni che devono andarsene da dove stanno. E questo non è certo popolare. Non paga elettoralmente. Se invece il sindaco non fa nulla, e capita una catastrofe, il sindaco sarà al centro dell’attenzione e potrà gestire le risorse che arriveranno; perché arriveranno – anche se meno di una volta. Lo stesso capita a livello nazionale. Una catastrofe naturale è una occasione per mostrarsi vicini alle sofferenze della “gente”. Salvo poi lasciare tutto com’è. Fino al alla prossima frana o alla prossima inondazione.
Ma veniamo al punto: proteggersi da frane e inondazioni si può? E se si, quali consigli pratici può darci?
Ci si può e ci si deve difendere dalle frane e dalle inondazioni. E ci sono molti modi per farlo. Come prima cosa bisogna conoscere il nostro territorio, dove viviamo, lavoriamo, dove mandiamo a scuola i nostri figli. Lo possiamo fare chiedendo al nostro Comune, al nostro sindaco cosa prevede il piano di protezione civile. In breve, il piano di protezione civile è un documento che contiene tutte le caratteristiche del territorio, le indicazioni da seguire e le autorità da contattare in caso di emergenza. Poi dobbiamo sapere cosa fare e non fare quando per esempio piove molto. Bastano piccoli accorgimenti. Quando piove molto è meglio spostarsi ai piani alti delle abitazioni nelle stanze più lontane dai versanti montani o collinari. Una cosa da non fare è fermarsi sotto a versanti dai quali esce dell’acqua, perché possono franare. Sembrano consigli banali, ma l’analisi delle cause di morte ci dice che non lo sono, e possono fare la differenza. Che può significare salvare la pelle.
In Italia, quanto si investe in ricerca per la previsione e la mitigazione dei rischi geo-idrologici?
Il panorama è desolante, e ormai da troppi anni. Potrà sembrare strano, ma l’Italia che è il paese che più di ogni altro in Europa ha problemi dovuti ai rischi geo-idrologici, ma anche a rischi geofisici quali terremoti, eruzioni vulcaniche, maremoti, non ha un programma nazionale di ricerca sui rischi naturali e le loro conseguenze. È incomprensibile, ma la ricerca sui rischi naturali che costano vite umane e centinaia di milioni di euro ogni anno, non è considerata strategica in Italia.
Quindi servirebbe un vero e proprio programma nazionale di ricerca sui rischi geo-idrologici?
Certamente sì. Serve un programma pluriennale di ricerca multi-disciplinare sui rischi e sulle loro conseguenze, sulla popolazione, l’ambiente, e le economie. I temi sono complessi, e non si può certo pensare di fare avanzare le conoscenze e trovare soluzioni efficaci in poco tempo, e con risorse limitate.
Ci parli un po’ del suo istituto e dell’archivio su frane e inondazioni storiche in Italia che ha realizzato.
Il nostro è uno dei 103 Istituti del Consiglio Nazionale delle Ricerche. La nostra missione è quella di progettare e eseguire ricerca scientifica e sviluppo tecnologico nel settore dei rischi naturali, per la protezione territoriale e ambientale, e per lo sfruttamento sostenibile delle geo-risorse. Lavoriamo a tutte le scale temporali e geografiche, e in differenti ambiti climatici, fisiografici e geologici. Abbiamo cinque sedi in Italia, e questo ci permette di lavorare come una rete di conoscenze e di laboratori. Ci permette anche di essere più vicini quando avvengono gli eventi, e quindi di poterli studiare meglio.
L’archivio POLARIS è consultabile da tutti? Quali sono le informazioni che si possono ottenere?
POLARIS, un acronimo per popolazione a rischio da frana e da inondazione, è nato con l’idea di diffondere a tutti, dai media ai singoli cittadini interessati, informazioni sull’impatto che le frane e le inondazioni hanno sulla popolazione italiana. Ogni anno, in gennaio, produciamo un nuovo rapporto sul rischio posto da frane e inondazioni in Italia. Il rapporto elenca gli eventi avvenuti nell’anno precedente, e confronta le statistiche dell’anno con quelle del quinquennio e dei 50 anni precedenti. Così tutti si possono fare un’idea sul fatto che il rischio alla popolazione cresca o diminuisca. In una sezione del sito, che abbiamo chiamato “che fare?” offriamo delle semplici istruzioni su cosa fare e non fare prima, durante e dopo una Alluvione.
La ringrazio Direttore per il tempo che mi ha dedicato e per la brillante intervista.
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Fausto Guzzetti è nato a Biella nel 1959. Nel 1983 si è laureato con lode in Geologia a Perugia e nel 2006 ha ottenuto un dottorato di ricerca in Geografia dall’Università di Bonn. È un Dirigente di Ricerca del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e, dal dicembre 2009, direttore dell’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica (IRPI) del CNR. Nel 2009-2010 è stato responsabile del Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche (GNDCI) del CNR e, dal 2012, è un componente della Commissione Nazionale per la Previsione e la Prevenzione dei Grandi Rischi del Dipartimento Nazionale della Protezione Civile. Ha coordinato progetti europei riguardanti le frane, le inondazioni ed i rischi naturali geo-idrologici. Ha contribuito a produrre il più vasto archivio d’informazioni concernenti frane e inondazioni storiche in Italia. È autore di oltre 130 articoli in riviste internazionali, oltre 230 articoli e comunicazioni in convegni internazionali e nazionali. È membro fondatore della European Geosciences Union (EGU) e nel 2008 ha ottenuto lo Union Service Award dell’EGU.
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