Giovedì 11 aprile scorso si è tenuta al Circolo dei Lettori di Torino la presentazione del libro 45 milioni di antifascisti dello storico Gianni Oliva. L’evento, organizzato e moderato da Giovanni Firera, Presidente dell’Associazione Culturale Vitaliano Brancati, grazie al supporto mediatico dell’Agenzia Digitale Italiana ha visto come relatori, oltre all’autore, lo storico Riccardo Rossotto e il giornalista de La Stampa Francesco Rigatelli.
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Il titolo del libro di Oliva, ispirato a una provocatoria frase attribuita a Winston Churchill (“In Italia sino al 25 luglio c’erano 45 milioni di fascisti; dal giorno dopo, 45 milioni di antifascisti. Ma non mi risulta che l’Italia abbia 90 milioni di abitanti”), riassume correttamente la tesi centrale dello storico torinese: la responsabilità collettiva che ebbero gli italiani nell’esperienza della Seconda guerra mondiale e la sostanziale continuità che ci fu nel passaggio dall’epoca fascista all’epoca repubblicana.
Infatti, come ha sottolineato Oliva durante la presentazione, nonostante dopo la Liberazione fossero cambiati l’assetto istituzionale e la classe dirigente del Paese, i milioni e milioni di funzionari, docenti universitari, intellettuali, giornalisti, capitani d’industria e magistrati, la vera e propria ossatura amministrativa della nazione, rimase sostanzialmente la stessa del periodo fascista. “Come defascistizzare tutto e tutti se in quegli anni pressocché tutto e tutti erano stati fascisti?” osserva provocatoriamente nell’introduzione del libro.
Da qui la decisione della nuova classe dirigente di optare per una generale amnistia (la celebre “amnistia Togliatti”) e di attuare un vero e proprio “riciclo” di uomini, strutture e apparati.
Tra i casi più eclatanti citati dallo storico torinese ci sono ad esempio il giurista Gaetano Azzariti, che fu presidente del tribunale della razza in epoca fascista e poi presidente della Corte costituzionale nel secondo dopoguerra, Marcello Guida, direttore della colonia di confino politico di Ventotene in epoca fascista divenuto poi questore di Torino e di Milano in epoca repubblicana, e Ciro Verdiani, responsabile della polizia politica (Ovra) in epoca fascista passato poi all’ispettorato antimafia dopo il ‘46. Sono in seguito stati presentati anche casi di figure celebri del mondo dello spettacolo italiano, da Raimondo Vianello a Walter Chiari passando per Dario Fo, Ugo Tognazzi ed Enrico Maria Salerno, che ebbero un passato legato al fascismo.
In questa parte della presentazione Oliva pare essersi riallacciato idealmente ad un suo precedente lavoro, Il purgatorio dei vinti, nel quale ha analizzato le biografie di italiani illustri che decisero di combattere per la Repubblica di Salò negli anni cruciali che vanno dall’8 settembre 1943 (armistizio di Cassibile) al 25 aprile del 1945, pagando la loro militanza con la reclusione nel campo di prigionia allestito dagli Alleati a Coltano.
È emersa dunque da questa presentazione una visione più complessa, non solo di quell’evento storico che solo a partire dagli anni ’90 si è potuto definire “guerra civile” (grazie al contributo storiografico di Claudio Pavone), ma anche della vicenda di quei numerosi giovani ragazzi che decisero di combattere per la Repubblica Sociale Italiana, imbracciando le armi per andare a cercar la bella morte, per citare il celebre e controverso romanzo di Carlo Mazzantini, scrittore e combattente repubblichino.
Un altro punto-cardine della tesi di Oliva è stata infatti proprio una critica alla narrazione storica con cui la nuova classe dirigente repubblicana ha presentato, fin dal 1946, gli eventi storici del secondo conflitto mondiale, descrivendo l’esito della guerra come una vittoria (con tanto di festa nazionale il 25 aprile) e utilizzando dunque la Resistenza, opera di una minoranza, come alibi per assolvere l’intera nazione dalle responsabilità del Ventennio, che vennero invece attribuite esclusivamente a Mussolini, ai gerarchi e a Vittorio Emanuele III. Da ciò sarebbe derivata una narrazione collettiva che avrebbe adombrato la sostanziale sconfitta del Paese, di cui fu manifestazione evidente la perdita delle terre adriatiche, col conseguente drammatico esodo giuliano dalmata (a cui è dedicato l’intero capitolo VII del libro di Oliva); evento, quest’ultimo, che sarebbe stato taciuto a lungo per motivi politici, fino ad ottenere una propria giornata commemorativa (10 febbraio, giorno del ricordo) solamente nel 2004, regolarmente promulgata dal Presidente della Repubblica, con legge 30 marzo 2004, n. 92, e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 86 del 13 aprile 2004.
Dalla presentazione e dalle originali tesi contenute nel libro di Oliva è emersa dunque una visione in grado di rivestire di un velo di maggiore complessità gli eventi più cruciali della nostra recente storia nazionale (armistizio, Resistenza, esodo giuliano dalmata e transizione democratica); un tentativo storico-divulgativo di strappare queste vicende dall’agone politico a cui quotidianamente sono sottoposte, con il conseguente bagaglio di narrazioni, contro-narrazioni e umori ideologici, ma che lascia anche intravedere una speranza: solo attraverso una lettura più articolata di questi eventi, che tenga conto dei diversi punti di vista attraverso i quali possono essere letti, si potrà giungere ad una memoria collettiva che sia veramente condivisa.
PER APPROFONDIRE
Cosa sono le Foibe? – Per mezzo secolo sulle stragi delle foibe e sull’esodo dei giuliani si è steso un pesante silenzio. Nel 1996 è stato un politico di sinistra, Luciano Violante, all’epoca presidente della Camera a infrangere il muro del silenzio e a invitare a una rilettura storica degli avvenimenti. Appello ripreso sul fronte opposto dal leader della destra Gianfranco Fini e poi dal presidente della Repubblica Ciampi. Ed è stato un altro ex comunista, il capo dello Stato Giorgio Napolitano, a firmare la legge con cui nel 2004 il Parlamento istituiva una giornata commemorativa per le vittime dei titini, allo stesso modo delle celebrazioni per l’Olocausto degli ebrei.
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