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La condizione femminile negli Usa nell’era di Trump

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L’ascesa di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti ha segnato un periodo di profonde divisioni e dibattiti, non solo sul piano politico ed economico, ma anche su questioni di genere e diritti delle donne. Con il suo ritorno alla Casa Bianca nel 2025, dopo un primo mandato tra il 2017 e il 2021, è inevitabile chiedersi quale sia stato e quale sarà l’impatto della sua leadership sulla condizione femminile. La “Trump Era” è stata caratterizzata da una combinazione di retorica polarizzante, politiche controverse e un clima culturale che ha messo in luce sia progressi che regressioni per le donne.

Il contesto: una retorica divisiva 

Donald Trump non è mai stato un politico convenzionale, e il suo stile comunicativo ha spesso alimentato polemiche. Durante la sua prima campagna presidenziale nel 2016, emersero registrazioni in cui si vantava di comportamenti sessualmente aggressivi verso le donne, scatenando l’indignazione di molte e dando vita al movimento #MeToo. Questo episodio ha rappresentato un paradosso: da un lato, ha amplificato la consapevolezza globale sulle molestie sessuali; dall’altro, ha eletto un uomo percepito da molti come insensibile alle questioni di genere. La sua retorica, spesso caratterizzata da commenti sprezzanti su donne politiche, giornaliste o attiviste, ha rafforzato l’immagine di un leader che non considera l’uguaglianza di genere una priorità.
Nel 2025, con il suo secondo mandato, questa percezione non sembra essersi attenuata. Le sue dichiarazioni pubbliche continuano a polarizzare: per i sostenitori, rappresenta una sfida al “politicamente corretto”; per le critiche, un ostacolo al progresso femminile. Tuttavia, la condizione femminile non può essere analizzata solo attraverso le sue parole: è necessario esaminare le politiche concrete e il clima sociale che ne è derivato.

Politiche e diritti riproduttivi

Uno degli aspetti più controversi dell’era Trump è stato l’impatto sui diritti riproduttivi. Durante il primo mandato, la nomina di giudici conservatori alla Corte Suprema, come Amy Coney Barrett, ha portato alla storica sentenza del 2022 che ha ribaltato Roe v. Wade, eliminando il diritto costituzionale all’aborto negli Stati Uniti. Sebbene Trump non abbia legiferato direttamente su questo tema, la sua influenza sul sistema giudiziario ha avuto conseguenze durature per milioni di donne, specialmente nelle aree rurali e negli stati a guida repubblicana, dove l’accesso all’aborto è stato drasticamente limitato.
Nel 2025, con il controllo repubblicano rafforzato in molte legislature statali, questa tendenza potrebbe intensificarsi. Le donne si trovano così divise tra chi vede in queste politiche una difesa della vita e chi le considera un attacco alla loro autonomia. Inoltre, i tagli ai finanziamenti di Planned Parenthood e ad altri programmi di salute femminile durante il primo mandato hanno ridotto l’accesso a servizi essenziali, colpendo in modo sproporzionato le donne a basso reddito e le minoranze.

Donne e mercato del lavoro

Sul fronte economico, Trump ha spesso vantato la crescita dell’occupazione femminile durante il suo primo mandato, prima della pandemia di COVID-19. Tuttavia, i dati mostrano un quadro più complesso. Sebbene il tasso di disoccupazione sia diminuito, le donne, in particolare quelle con figli, hanno subito un duro colpo durante la crisi pandemica, con molte costrette a lasciare il lavoro per mancanza di supporto come asili nido accessibili. Le politiche di Trump, incentrate su sgravi fiscali per le imprese, non hanno affrontato in modo diretto le disuguaglianze di genere nel mercato del lavoro, come il divario salariale o la carenza di congedi parentali retribuiti.
Con il ritorno al potere nel 2025, la sua agenda economica sembra mantenere un approccio simile: deregolamentazione e tagli fiscali, senza un focus specifico sulle donne. In un’epoca in cui il lavoro da remoto e la flessibilità sono sempre più richiesti, la mancanza di politiche mirate rischia di lasciare indietro molte lavoratrici, soprattutto quelle che devono conciliare carriera e famiglia.

Il movimento femminista e la reazione culturale

L’era Trump ha anche galvanizzato il femminismo moderno. Il Women’s March del 2017, che ha mobilitato milioni di persone in tutto il mondo, è stato una risposta diretta alla sua elezione. Movimenti come #MeToo e Time’s Up hanno trovato terreno fertile in un clima percepito come ostile, spingendo le donne a organizzarsi e a far sentire la propria voce. Questo risveglio ha portato a vittorie significative, come l’aumento della rappresentanza femminile al Congresso, con figure come Alexandria Ocasio-Cortez che hanno sfidato apertamente il trumpismo.
Tuttavia, il 2025 vede anche una crescente backlash contro questi movimenti. La retorica conservatrice, amplificata da influencer e media di destra, accusa il femminismo di essere “eccessivo” o “anti-uomo”, alimentando una guerra culturale che complica il dialogo sui diritti delle donne. Le sostenitrici di Trump, spesso donne bianche delle aree suburbane, difendono invece la sua leadership come un ritorno a valori tradizionali che, a loro avviso, proteggono la famiglia e, di conseguenza, le donne.

Un bilancio incerto

La condizione femminile nell’era di Trump è un mosaico di contraddizioni. Da un lato, le sue politiche e il suo stile hanno rafforzato ostacoli strutturali all’uguaglianza; dall’altro, hanno innescato una mobilitazione senza precedenti che potrebbe, a lungo termine, produrre cambiamenti positivi. Nel 2025, con un mondo che guarda agli Stati Uniti come barometro delle dinamiche globali, il futuro delle donne sotto Trump dipenderà non solo dalle sue scelte, ma anche dalla capacità della società di rispondere, resistere e innovare. In questa tensione tra regressione e resilienza si gioca il destino della condizione femminile nell’era trumpiana.

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