Quando ho incontrato Laura la prima volta, mi ha colpito la sua solarità e l’incredibile semplicità con cui si approccia al mondo.
Laura è questo, e molto altro, attualmente vive ad Abu Dhabi, con la sua famiglia, è una fisica sperimentale presso la New York University Abu Dhabi (NYUAD), e il suo lavoro consiste nel disegnare e costruire rivelatori per le particelle elementari.
In particolare, si interessa di rivelatori per la materia oscura.
La materia oscura è materia di cui vediamo gli effetti gravitazionali nell’universo, osservando galassie lontane e vicine, misurando la “radiazione cosmica di fondo” (la radiazione elettromagnetica rilasciata quando l’età dell’universo era soltanto lo 0.003% del suo valore attuale) e molto altro.
Si chiama materia oscura perché è “ignota”, non perché sia propriamente scura, o nera. Nonostante ci siano evidenze indirette della sua esistenza, non siamo ancora riusciti a rivelarla.
Un’ipotesi è che possa essere composta da particelle elementari, che interagiscono molto debolmente con la materia ordinaria, e per questo è così difficile da rivelare.
Ritornando a Laura, si laurea nel 2010 in fisica e successivamente prosegue con un master in fisica delle particelle sempre presso l’Università degli Studi di Milano.
Finita la laurea magistrale nel 2012, si sposta a Londra dove consegue il dottorato presso la University College London.
Attualmente segue in simultanea l’esperimento XENONnT al Gran Sasso, che ha come obiettivo quello di trovare la materia oscura mediante una tecnologia che sfrutta lo xeno liquido come mezzo di rivelazione.
Lo xeno è un gas nobile presente in piccolissime quantità nell’aria e che diventa liquido a circa -100 C. Lo xeno è costosissimo, circa 3000 euro al kg.
In XENONnT ci sono ben 8300 kg di xeno!
Laura è una scienziata poliedrica che possiede una notevole abilità nelle relazioni interpersonali (dote non molto frequente tra coloro che si occupano di fisica). Sostiene e incoraggia le donne nel campo STEM (Science, Technology, Engineering, and Mathematics), che comprende discipline scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche. Ha fatto parte di un comitato per promuovere la sottorappresentazione delle donne in fisica.
Laura è anche madre di tre bambini e ha un’importante missione: far crescere i suoi figli con crescente curiosità per l’ovvio e l’ignoto, e così ispirata e mossa da questa visione, ha scritto un libro straordinario intitolato “The littlest girl goes inside an atom” che ha l’obiettivo di introdurre i bambini (e gli adulti, con loro) alla conoscenza del mondo della fisica.
Il libro è attualmente disponibile solo in inglese sul sito thelittlestgirl.com, ma presto sarà diffuso anche in lingua italiana.
A leggere il tuo curriculum si resta magnetizzati e coinvolti, innanzi a tanta eccleticitá, cosa ti ha spinto a seguire questo percorso?
Durante i miei studi al liceo classico, ero proiettata verso le materie umanistiche, ma la fisica pur impegnandomi e studiando non mi appassionava particolarmente, il quarto anno delle superiori, lo frequentai all’estero, in America e nacque una speciale alchimia, con la fisica, grazie ad un’insegnante, che mi aveva dimostrato come essa, appunto, fosse in grado descrivere la natura e predire cosa avvenga ancora prima del suo accadimento.
Si dice che la fisica risponde ai perché, in realtà la fisica non risponde ai perché, piuttosto la definirei come un metodo descrittivo della natura, della realtà che porta con sé una verità.
Questa visione mi aveva particolarmente travolto, e in un’epoca in cui ci si affascinava per le materie umanistiche, io trovavo nella fisica una magnificenza comparabile al medesimo incanto che si poteva avere di fronte alla bellezza della Divina Commedia di Dante, o in un brano musicale.
Il motivo che mi ha portato a fare fisica è mosso dall’esigenza di rincorrere la realtà nella sua profondità, cosa spinge l’essere umano a cimentarsi nelle arti, nella scrittura? Si usa un linguaggio particolare, specifico per narrare, raccontare una verità, in fisica si usa il linguaggio matematico che tuttavia rende complessa la narrazione, motivo per cui dovrebbe essere insegnata con un’attenzione emotiva e motivata, per potere essere appresa e compresa da più persone.
Ti impegni ad incoraggiare le donne a seguire e conseguire esperienze di matrice scientifico-tecnologiche, ma secondo te perché le donne restano in certi circuiti ancora una minoranza?
Nel mondo della fisica, non sussiste una vera e propria disproporzione tra uomini e donne, la questione si complica in itinere, il passaggio da dottorato a post dottorato e ancora di più da post dottorato a professore o professore associato.
Probabilmente il problema risiede nel fatto, che nel momento in cui una donna desidera creare anche una famiglia, ha l’ovvia necessità di una stabilità economica, non si viene pagati adeguatamente, e logistica, non doversi spostare ogni due anni a causa del lavoro, a quel punto l’ambiente accademico non sostiene e supporta.
Va anche sottolineato che l’educazione alle donne nelle università, è stata aperta molto dopo, rispetto agli uomini.
Quando si studia la fisica del ‘900, i fisici sono nella quasi totalità uomini, quindi una giovane donna potrebbe essere attratta a perseguire un percorso di studi, in cui possa avere dei modelli femminili di riferimento.
Da un recente dossier di “Save the Children” in cui si parla di “equilibriste”, intendendo le donne che lavorano, si legge un dato sconcertante, ossia che nel 2020, a causa della pandemia, sono evaporati 456 mila posti di lavoro, con effetti negativi più marcati per le donne. Ma perfino quando le donne accedono al lavoro, la loro condizione occupazionale continua ad essere caratterizzata da una debolezza strutturale che finisce per renderle più esposte ai rischi di espulsione dal mercato, rispetto agli uomini.
A tutto ciò si sommano le ulteriori difficoltà che devono gestire le mamme lavoratrici, spesso considerate un peso dai loro datori di lavoro.
Sto per farti una domanda apparentemente sessista, perché difficilmente si chiederà ad un uomo come coniuga il suo lavoro, con il suo essere padre, ma siamo martellate da un cliché duro da estirpare, in cui una donna deve scegliere tra fare carriera o essere madre, cosa ne pensi a riguardo?
Per risponderti, parto dalla ovvia diversità biologica tra uomini e donne, nel mio caso, io ho partorito tre figli e non mio marito, nonostante un aiuto, una presenza e un supporto encomiabile, lo stesso discorso vale per l’allattamento; il proprio partner può alleviare le fatiche a cui siamo sottoposte, ma altrettanto innegabile, che soprattutto nei primi anni di vita, i/le bambini/e, i/le nostri/e figli/e siano più legati alle madri, che non ai padri.
Come si riesce a coniugare lavoro e famiglia? Ancora non sono depositaria di alcuna risposta, è un cammino, su cui sto ancora lavorando.
Alcuni anni fa ero convinta che si potessero coniugare, lavoro e famiglia, complici anche le varie frasi motivazionali, che la società ci propina, “puoi avere tutto, puoi essere madre, puoi lavorare e avere la tua carriera”. Poi la realtà è che la giornata è fatta di ventiquattro ore, per quanto si continui ad asserire che sia la qualità del tempo trascorsa con un figlio/a a valere maggiormente rispetto alla effettiva quantità del tempo dedicatogli/le, a mio parere anche la quantità del tempo ha la sua importanza.
Ti faccio un esempio, io mi sono sposata dopo cinque anni di frequentazione con il mio attuale marito, sarebbe potuto accadere dopo meno anni, dopo alcuni mesi, in quanto vissuto intensamente la qualità del tempo? Secondo me c’è un fattore da tenere in considerazione, il tempo, fisico, in quantità, che non si può ovviare.
Nel mio concetto di madre presente, trovo ovvio che durante una giornata devo spendere del tempo con i miei figli, che si impatta con il tempo che posso spendere e dedicare al mio lavoro.
È anche vero che, se mi comparo ai miei coetanei senza prole, la mia capacità gestionale del tempo è più produttiva.
Nel novembre del 2021 io ho avuto la mia terza bambina, a dicembre dello stesso anno ho deciso di applicare uno Starting Grant dell’Unione Europea, e la scadenza del bando sarebbe stata il 13 gennaio del 2022, per scrivere un Grant di questo tipo occorrono dei mesi, io ho impiegato in totale tre settimane, ho lavorato davvero tanto, eravamo in pieno Covid, con una neonata e altri due figli che non potevano andare a scuola a causa della Pandemia, la nostra tata che aveva contratto il Virus, avevo per fortuna il totale aiuto di mio marito.
In quella specifica esperienza mi sono sentita come se avessi scalato l’Everest, avevo raggiunto la vetta, indipendentemente dal responso.
Ho passato la prima selezione, notoriamente più difficile, non ho passato purtroppo la finale, ma quell’esperienza mi ha dato tanta sicurezza e consapevolezza delle mie capacità.
Come ci sono riuscita? Suppongo sia una forza, una spinta mentale, che nonostante le varie pressioni, accade che alcuni siano in grado di fare uscire il meglio delle proprie capacità e potenzialità.
Ci racconti come ti è venuta l’idea del libro, la
protagonista è la tua bambina? Ci racconti di cosa parla e come pensi che possa essere uno strumento di accrescimento per i bambini che lo leggeranno?
L’idea del libro è nata nell’ottobre del 2019, tutto perché non riuscivo a trovare dei libri di pura fisica che potessero essere adatti ai bambini.
Per la verità esisteva una collana di libri per bambini sulla fisica, ma non aveva disegni accattivanti, e a mio parere non insegnavano di fatto nulla.
Così ho partorito questa idea di scrivere il libro, ne ho discusso con un mio amico, il Dr. Ethan Siegel, scrittore scientifico di professione, ed è nata una bellissima esperienza di scrittura a due mani, la protagonista è una bambina, mi ha ispirato mia figlia Caterina di sei anni.
Abbiamo voluto destrutturare l’idea diffusa erroneamente che la fisica sia per i geni, io non sono un genio, una studiosa, che probabilmente ha sacrificato la sua vita sociale durante l’università, ma trovavo godimento e appagamento da quello studio.
Quando si pensa al fisico, si pensa ad Einstein, ma lui è stato unico, tanti sono i fisici, io volevo diffondere un messaggio, per essere un fisico, bisogna essere appassionatamente curiosi, come la protagonista del libro, che vuole esplorare autonomamente il mondo e le cose che la circondano.
È sicuramente uno strumento di accrescimento per i/le bambini/e e per i genitori, gli adulti, che con i bambini si relazionano.
Il libro è suddiviso in due sezioni, la prima parte, è per i bambini e segue il filo narrativo di una storia di fantasia, proprio come la si racconterebbe ai bambini, immaginazione e creatività sono elementi essenziali per fare fisica, se devo costruire un nuovo rivelatore, mi verranno in mente idee non convenzionali, in cui nessuno fino a quel momento si era cimentato.
La seconda parte del libro è per gli adulti o per fratelli e sorelle maggiori, per insegnanti, per superare quel rifiuto a priori di una materia, che non sempre è capita, adeguatamente insegnata, ma che ha tanto da insegnarci.
La scelta anche della carta su cui è stampato evoca delle bellissime percezioni tattili e olfattive, e le bellissime illustrazioni sono a cura di Francesca Cosanti.
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