“Non ho paura di niente perché ho fatto il liceo classico. Chi lo frequenta sa tante cose, le uniche che servono nella vita” – Roberto Vecchioni
In copertina: l’installazione museale Mathematica,
designer Charles & Ray Eames (1961)
Vecchioni, cantautore e docente di Greco e Latino per anni, ha recentemente dichiarato che il liceo classico fornisce “le uniche conoscenze che servono nella vita” e che “senza una formazione classica manca gran parte del senso dell’esistenza”. Una visione che, pur valorizzando l’educazione umanistica, risulta limitante e ignora la rilevanza di percorsi scientifici, come il ragionamento astratto. La conoscenza non si esaurisce nelle discipline classiche: le scienze e la matematica offrono strumenti essenziali per comprendere il mondo e affrontare le sfide moderne. In un’epoca di rapida evoluzione, la formazione deve essere integrata e multidisciplinare, senza gerarchie tra i saperi. L’approccio equilibrato tra cultura umanistica e scientifica è la chiave per una comprensione più ampia e consapevole della realtà.
Senza contare che gli studi scientifici offrono strumenti fondamentali per distinguere la verità dalla disinformazione, soprattutto nell’epoca delle fake news e della post-verità. Il cuore della scienza è il metodo scientifico, che si basa su osservazione, raccolta di dati e verifica attraverso esperimenti ripetibili. Questo approccio consente di analizzare le informazioni con un occhio critico, evitando di accettare affermazioni senza prove.
L’importanza del pensiero critico
Uno degli aspetti centrali è il pensiero critico, che insegna a valutare con attenzione le fonti e il contesto delle notizie, evitando di cadere in trappole cognitive. Le fake news spesso si basano su numeri manipolati o dati inesistenti, ma una solida conoscenza dell’analisi statistica permette di individuare incongruenze e interpretare correttamente le informazioni.
Inoltre, la scienza insegna a distinguere tra fonti affidabili e contenuti fuorvianti: ricerche pubblicate su riviste scientifiche, dati forniti da enti di ricerca e università sono più attendibili rispetto a blog o post sui social media privi di verifiche. Un altro elemento chiave è la riproducibilità: un’informazione è più solida se è stata confermata da più studi indipendenti e rientra nel consenso scientifico, evitando così di dare peso a teorie isolate o prive di fondamento.
Infine, comprendere i bias cognitivi è essenziale per difendersi dalla manipolazione. Le fake news spesso fanno leva sulle emozioni, inducendo reazioni istintive che oscurano il ragionamento logico. Gli studi scientifici aiutano a riconoscere questi meccanismi e a prendere decisioni basate sui fatti, anziché sulle sensazioni. In un mondo sempre più connesso, sviluppare una mentalità scientifica è la chiave per orientarsi nella complessità dell’informazione e contrastare la disinformazione.
In Italia, chi ha seguito un percorso umanistico tende spesso a considerare le materie scientifiche come marginali o addirittura superflue, arrivando in alcuni casi a vantarsi della propria ignoranza in ambiti come la matematica, la fisica o la biologia. Questo atteggiamento, più che una scelta consapevole, è il risultato di un’impostazione scolastica ereditata dalla riforma Gentile del 1923, che ha posto il liceo classico al vertice della gerarchia dell’istruzione, relegando le scienze a un ruolo secondario.
A differenza dell’Italia, in molti altri paesi i sistemi educativi promuovono un approccio più equilibrato tra cultura umanistica e scientifica. Nei paesi anglosassoni, ad esempio, il sistema scolastico incentiva una formazione interdisciplinare, in cui le scienze e la matematica sono considerate fondamentali tanto quanto la letteratura o la filosofia. Questo garantisce una preparazione più completa e una maggiore consapevolezza delle dinamiche del mondo contemporaneo.
Il dibattito sul valore del latino rispetto alle scienze è oggi superato
In un’epoca in cui il progresso scientifico e tecnologico è alla base di ogni innovazione, il dibattito sul valore del latino rispetto alle discipline scientifiche appare sempre più obsoleto. L’Italia, negli anni passati, ha assistito a un indebolimento delle materie scientifiche, specialmente sotto il Governo Gentile, quando la matematica e le scienze furono considerate più “tecniche” e meno centrali nel curriculum scolastico. Oggi, tuttavia, la situazione è cambiata: le sfide globali che affrontiamo, dai cambiamenti climatici alle pandemie, alle sfide della intelligenza artificiale ci impongono di acquisire competenze scientifiche per interpretare correttamente i dati, comprendere i fenomeni complessi e affrontare l’incertezza.
Barack Obama ha giustamente affermato che “un Paese senza scienza non ha futuro”, e questo concetto non potrebbe essere più pertinente nel contesto attuale. La scienza, e in particolare la matematica, sono alla base di tutte le tecnologie moderne che ci permettono di monitorare il clima, prevedere i terremoti, migliorare la medicina e, in generale, sviluppare una comprensione più profonda del mondo che ci circonda. Non possiamo permetterci di relegare la matematica e le scienze in secondo piano, ignorando la loro importanza fondamentale per la nostra sopravvivenza e per il benessere delle generazioni future.
Chi sostiene che sia fondamentale studiare il latino per “mantenere vivo il legame con le radici culturali” spesso non considera le sfide urgenti che il nostro tempo impone. Certo, il latino è una lingua di grande valore storico e culturale, ma non può più essere considerato un pilastro indispensabile della formazione scolastica. Il mondo è cambiato, e la nostra capacità di rispondere alle sfide globali dipende sempre più dalla nostra capacità di analizzare e interpretare i dati. Non possiamo permetterci di perdere tempo su argomenti che, sebbene interessanti, non offrono gli strumenti concreti necessari per navigare nel mondo moderno.
L’educazione dovrebbe preparare gli studenti ad affrontare un futuro incerto e in continua evoluzione. Insegnare matematica, scienze e analisi critica (pensiamo alle FakeNews, e a quanti anche tra gli umanisti non le riconoscono), insieme alla capacità di leggere e comprendere dati, è cruciale per formare cittadini consapevoli e responsabili. Non è più una questione di scelta, ma di necessità: il mondo di domani appartiene a chi possiede competenze scientifiche e tecnologiche.
Il latino, pur essendo una lingua affascinante e una porta d’accesso alla cultura classica, non è in grado di fornire gli strumenti cognitivi necessari per comprendere i fenomeni globali complessi. Non è più sufficiente conoscere il passato per costruire il futuro. In un’era dominata dai Big Data, dalla biotecnologia e dall’intelligenza artificiale, dobbiamo fare spazio a quelle competenze che ci permettono di affrontare le sfide scientifiche e sociali del XXI secolo. Le scuole devono concentrarsi sulla formazione di giovani pronti ad affrontare queste sfide, dotandoli delle conoscenze scientifiche necessarie per navigare nel mondo moderno.
Non possiamo permetterci di trascurare le scienze in favore di discipline che, pur importanti, non sono più al centro del dibattito contemporaneo. La matematica, le scienze naturali e la capacità di analizzare i dati sono le vere chiavi del futuro, e per questo devono essere al centro dell’educazione scolastica. È tempo di fare una scelta coraggiosa e di rispondere alle sfide del nostro tempo con gli strumenti giusti, quelli che solo la scienza e la tecnologia possono offrirci.
Senza la comprensione del nostro mondo e della nostra posizione nell’Universo non c’è futuro
Venne realizzato nel 1977 dai designer Charles e Ray Eames.
La fine delle “due culture” (scientifica e umanista): ecco la” terza cultura”
La “terza cultura” è un concetto che si sviluppa come risposta alla storica divisione tra le scienze naturali e le scienze umane. Questa divisione, che per lungo tempo ha caratterizzato il panorama intellettuale, veniva descritta nel 1959 dallo scrittore e scienziato C.P. Snow con la sua famosa conferenza “The Two Cultures”. Snow osservava che il mondo accademico era separato in due campi distinti: la “cultura scientifica”, rappresentata dalle scienze naturali e matematiche, e la “cultura letteraria”, che includeva la filosofia, la letteratura e le scienze sociali. Secondo lui, questa frattura tra le due aree del sapere stava ostacolando il progresso della conoscenza e la comprensione reciproca, sia tra scienziati che tra umanisti.
Snow sosteneva che la “guerra tra le due culture” fosse deleteria per il progresso del pensiero umano. Le scienze, ad esempio, avanzano con metodi rigorosi e una logica deduttiva, mentre le discipline umanistiche si fondano su approcci interpretativi e argomentativi. Questo divario rendeva difficile una comunicazione proficua tra i due mondi, e Snow si preoccupava che tale separazione stesse riducendo la possibilità di affrontare le grandi questioni del nostro tempo in maniera multidisciplinare.
Tuttavia, la visione delle due culture è stata progressivamente superata, dando spazio a quella che oggi viene chiamata “terza cultura”. Questo concetto è stato proposto dal fisico e scrittore John Brockman, che nel 1995 ha fondato il movimento della “terza cultura” con l’intento di colmare il divario tra scienze naturali e discipline umanistiche. Secondo Brockman, la “terza cultura” non si limita a riunire le due culture tradizionali, ma rappresenta un nuovo paradigma che combina scienza e filosofia, dando vita a una sintesi che va oltre la semplice fusione di approcci separati.
Il punto centrale della “terza cultura” è l’idea che le scienze moderne, particolarmente quelle relative alla fisica, alla biologia e alle neuroscienze, siano in grado di rispondere a molte delle questioni che in passato venivano trattate dalle scienze umane e dalla filosofia. In altre parole, la scienza non è più vista solo come un dominio tecnico e specialistico, ma come una chiave per esplorare e comprendere le questioni esistenziali e morali che riguardano la condizione umana. Ciò implica che, per risolvere i dilemmi più complessi, non sia sufficiente fare affidamento solo sulle tradizionali discipline umanistiche, ma sia necessario integrare anche il pensiero scientifico.
La “terza cultura” è quindi un approccio che promuove la convergenza delle discipline, unendo la ricerca scientifica e la riflessione filosofica per offrire soluzioni più ampie e complete. Si parla di una cultura che è allo stesso tempo scientifica e umanistica, capace di affrontare questioni come l’intelligenza artificiale, le neuroscienze, la genetica, il cambiamento climatico e persino l’etica delle tecnologie emergenti. Con la “terza cultura”, le scoperte scientifiche sono interpretate anche attraverso il filtro della riflessione filosofica, letteraria e sociale.
Un esempio lampante della “terza cultura” è dato dalla figura di autori come Richard Dawkins, Stephen Hawking, Carlo Rovelli e Yuval Noah Harari. Questi autori, sebbene provenienti da ambiti scientifici, scrivono opere che vanno ben oltre la pura divulgazione scientifica. Le loro opere esplorano le implicazioni filosofiche, morali e sociali delle scoperte scientifiche, rispondendo a domande profonde sul significato della vita, sulla nostra comprensione dell’universo e sulle sfide future per l’umanità. Il libro di Dawkins, L’illusione di Dio, per esempio, non si limita a trattare la biologia evolutiva, ma esplora anche temi filosofici riguardanti la religione e l’etica. Rovelli, con Sette brevi lezioni di fisica, si cimenta nel tentativo di rendere accessibili le complesse teorie fisiche, intrecciando la scienza con riflessioni sulla conoscenza e sull’esistenza.
La terza cultura non si limita a un singolo settore, ma abbraccia un’ampia gamma di temi e approcci. Le neuroscienze, ad esempio, stanno iniziando a rispondere a domande che un tempo appartenevano esclusivamente alla filosofia della mente. Le scoperte sul funzionamento del cervello umano, sull’intelligenza artificiale e sulla coscienza, portano inevitabilmente a riflessioni sull’identità umana, sulla libertà di scelta e sul concetto stesso di esistenza. Anche la questione del cambiamento climatico è un campo in cui la “terza cultura” gioca un ruolo fondamentale, poiché affrontare il riscaldamento globale richiede competenze scientifiche avanzate, ma anche una riflessione etica, politica e sociale sul futuro del nostro pianeta e delle generazioni future.
In sintesi, la “terza cultura” rappresenta un superamento della storica separazione tra scienze e scienze umane. È un invito a superare i confini disciplinari, promuovendo un dialogo che possa rispondere meglio alle sfide del nostro tempo. Questo nuovo paradigma culturale ci spinge ad affrontare la complessità del mondo con un approccio olistico, in cui le scienze e le riflessioni filosofiche, morali e sociali si intrecciano per comprendere la realtà e migliorare la nostra condizione.
FONTI
L’idea della “terza cultura” ha trovato una concreta espressione nei lavori di Brockman, che nel suo libro The Third Culture: Beyond the Scientific Revolution (1995) raccoglie le voci di numerosi scienziati e intellettuali che parlano di come la scienza possa affrontare anche le grandi questioni filosofiche e umanistiche. Altri testi significativi sono The Two Cultures di C.P. Snow e The Blank Slate di Steven Pinker, in cui il neuroscienziato esplora le implicazioni della biologia evolutiva per comprendere la natura umana.