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Materia oscura nell’inflazione calda

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GIÀ ERA LÌ PRIMA DEL BIG BANG? POTREBBE ESSERCI MODO DI PROVARLO

Considerando uno scenario d’inflazione cosmica “warm” e un meccanismo di produzione di particelle detto “freeze in”, un nuovo modello messo a punto da tre fisici teorici dell’Università del Texas a Austin, pubblicato il mese scorso su Physical Review Letters, mostra come la materia oscura potrebbe essersi formata molto prima di quanto si pensi. Abbiamo intervistato uno degli autori, il fisico romano Gabriele Montefalcone, oggi negli Usa

Gabriele Montefalcone (foto fornita dall’intervistato)

Non sappiamo che cos’è. Non abbiamo la più pallida idea di coma sia fatta. E a dirla tutta non siamo nemmeno così sicuri che esista veramente. Parliamo di quegli inaccessibili quattro quinti di materia che gli stessi fisici definiscono oscura. Della sua natura non conosciamo nulla. Ma gli scienziati non si lasciano scoraggiare per così poco. E continuano a sfornare ipotesi e modelli. Ipotesi e modelli in grado di spiegare, per esempio, quando si possa essere formata. Uno tra gli scenari più suggestivi è stato pubblicato il mese scorso su Physical Review Letters e colloca l’epoca della comparsa della materia oscura nell’universo addirittura – ora chiariremo in che senso – prima del Big Bang.

Lo scenario è ben riassunto dal titolo dell’articolo: produzione di materia oscura durante l’inflazione calda attraverso il freeze-in. E a formularlo sono tre fisici teorici del Weinberg Institute for Theoretical Physics dell’Università del Texas a Austin, negli Stati Uniti: Katherine Freese, Barmak Shams Es Haghi e un ventisettenne romano laureato a Princeton: Gabriele Montefalcone. Nel suo caso, l’etichetta di fisico teorico sta un po’ stretta, e ve ne potete rendere conto anche solo cercando il suo nome in rete: le prime immagini che escono mostrano tutte un giovane atleta alto e muscoloso intento a correre i 400 ostacoli.

Montefalcone, è sempre lei? Il fisico teorico e il campione sportivo?

«Sì, sono sempre io, anche se non so ancora per quanto tempo. Negli ultimi anni ho corso a livello professionale, ho partecipato a varie competizioni internazionali, e nel 2023 anche ai mondiali universitari. Ero anche in preparazione per le Olimpiadi, per andare a Parigi».

Poi cos’è successo?

«Purtroppo ho un problema cronico al piede sinistro che mi dà fastidio ormai da sette anni e che proprio l’anno scorso ha deciso di mollarmi. La voglia di correre e spingermi oltre i miei limiti è ancora forte, ma considerando i miei altri obiettivi professionali e personali, non so se sia più fattibile; per ora mi sto prendendo del tempo per riflettere. Fortunatamente, ho sempre avuto il desiderio di coniugare la carriera sportiva con lo studio, e gli Stati Uniti mi hanno dato la possibilità di realizzare entrambi».

Gabriele Montefalcone (foto fornita dall’intervistato)

E si è così trovato, tra un ostacolo e l’altro, ad affrontare anche questo ostacolo non piccolo dell’origine della materia oscura. Chiariamo anzitutto un dubbio terminologico che viene a tutti noi quando leggiamo che potrebbe essersi formata prima del Big Bang: per voi fisici teorici il Big Bang – che per noi profani è l’inizio di tutto – viene subito dopo l’inflazione, è così? Per quale motivo?

«Il termine ‘Big Bang’, scientificamente, si riferisce a uno stato iniziale in cui tutte le particelle dell’universo erano in equilibrio termico a una temperatura molto elevata, e da lì in poi l’universo si espande. Quindi si identifica l’inflazione prima del Big Bang perché durante l’inflazione non c’è questa radiazione e l’inflazione è il meccanismo che sostanzialmente spiega e produce le condizioni iniziali che osserviamo nel Big Bang. In questo senso, lo distinguiamo da ciò che comunemente viene inteso come Big Bang, ovvero la singolarità iniziale».

Diciamo dunque che se volessimo disegnarne la timeline la sequenza sarebbe: singolarità, inflazione, Big Bang e infine l’espansione. È corretto?

«Sì, perché inizialmente il Big Bang veniva concepito come qualcosa che arrivava fino alla singolarità, anche se parlare di temperatura o di qualsiasi altra proprietà alla singolarità non ha realmente senso. Quindi quando si parlava della teoria del Big Bang si arrivava fino a un certo punto e si diceva: bene, qui ho tutte le particelle in equilibrio termico. L’inflazione, in questo contesto, può essere vista come una sorta di “ponte” tra la singolarità e il Big Bang».

Ed è in questa brevissima fase di rapidissima espansione, culminata con il Big Bang, che secondo il vostro modello si sarebbe formata la materia oscura. Gli altri modelli ritengono invece che sia comparsa più tardi?

«Occorre una premessa: noi stiamo utilizzando una classe di modelli di inflazione specifica, una grande classe di modelli chiamata warm inflation, “inflazione calda”. L’idea di inflazione originale, quella standard, che potremmo chiamare “inflazione fredda”, prevede che ci sia una particella, l’inflatone, che causa un’accelerazione quasi esponenziale dell’universo. Una volta che l’inflatone ha perso sufficiente energia, ecco che inizia a decadere. L’inflazione si interrompe, nel senso che il periodo di espansione accelerata si conclude. E l’inflatone decade in tutte le altre particelle che formano la materia standard. Un processo, questo, che viene chiamato reheating. In pratica, ci sono due fasi principali: inizialmente l’universo si espande in modo quasi esponenziale, che è ciò che ti garantisce di arrivare a un universo omogeneo e piatto. Ma fino a questo punto non c’è dentro niente, quindi occorre far decadere l’inflatone e produrre tutto il resto. Ciò pone però un problema: se l’inflatone produce tutte le particelle, deve necessariamente esistere un’interazione tra l’inflatone e le particelle stesse. Quindi uno si potrebbe chiedere: è possibile che mentre espando produco queste particelle? La risposta è sì, ma nel caso standard – quello dell’inflazione fredda – questa produzione è così lenta da risultare inutile, nel senso che l’espansione è talmente grande che nella mia piccola regione d’universo rimango senza niente».

Mentre invece con la vostra classe di modelli, quella dell’inflazione calda, che succede?

«L’inflazione calda prevede che ci sia un’interazione tale da rendere possibile – durante la stessa inflazione – mantenere una densità di radiazione sufficiente. Ovviamente, questa interazione non può essere dominante, perché altrimenti l’espansione dell’universo non sarebbe possibile. Perché l’universo si espanda, infatti, è necessario che l’energia totale sia principalmente associata all’inflatone. Ma se l’inflatone, mentre espande, decade a sufficienza, si può arrivare a una sorta d’equilibrio – e questo è stato dimostrato dai teorici dell’inflazione calda – tale da mantenere una temperatura, diciamo. Si chiama inflazione calda proprio per questo: prevede che già in quell’epoca l’universo abbia una temperatura, mentre nel caso dell’inflazione fredda non l’avrebbe».

E quale problema risolve, un modello basato sull’inflazione calda?

«Il vantaggio è che se le cose stanno così non c’è più bisogno della fase di reheating di cui parlavamo prima. Possiamo addirittura immaginare che, a un certo punto, l’energia dell’inflatone venga completamente espressa nella radiazione, dando così luogo a una sorta di transizione continua: si scivolerebbe, cioè, dal regno dell’inflatone, dov’era lui a dominare, a quello della radiazione, senza la necessità di un secondo passaggio».

Prima però ci diceva che i modelli più standard, quelli più sviluppati, sono quelli dell’inflazione fredda. Perché quella calda è rimasta più, diciamo, di nicchia?

«Perché dal punto di vista teorico, di costruzione dei modelli, è rimasta a lungo molto più complessa. Solo da pochi anni, nel 2016, si è arrivati a un modello d’inflazione calda gestibile, diciamo. Poi nel 2019 ne è stato sviluppato un altro ancora più interessante. Insomma è solo nell’ultima decina d’anni che ha iniziato a diffondersi un po’ di più fra gli addetti ai lavori».

Inflazione calda, dunque. Durante la quale si sarebbe prodotta una quantità di materia non più insignificante rispetto all’espansione ma significativa – sufficiente a spiegare quel che vediamo oggi. Anche materia oscura?

«La risposta breve è sì. Prima però occorre mettersi d’accordo su come si produce la materia oscura. È una domanda che ci siamo posti ormai circa sessant’anni fa, e il modello originario è quello che viene chiamato di freeze out. È il meccanismo che ha motivato la ricerca di materia oscura negli esperimenti che ci sono tutt’oggi, anche in Italia. Quello che prevede, molto in breve, è che all’inizio la materia oscura sia in equilibrio con tutto il resto. Ci sono le particelle standard e ci sono quelle di materia oscura. E si può fare proprio un calcolo: se hai una determinata interazione e una determinata massa, a un certo punto, man mano che l’universo si espande, quando il rate d’interazione diventa minore del rate d’espansione ecco che tu, particella, non interagisci più. Da qui il freeze out: mentre le particelle continuano a interagire, il loro numero può variare, ma una volta che le interazioni cessano, l’abbondanza delle particelle è fissata – praticamente non parli più con nessuno. Nel modello standard, le prime particelle che fanno freeze out sono i neutrini: avendo un’interazione piccolissima, non passa nemmeno un secondo dal Big Bang che subito iniziano a viaggiare senza parlare più con nessuno».

E la materia oscura quando avrebbe fatto freeze out?

«Se ipotizziamo che anche la materia oscura si sia formata così, puoi farti un conto: sai quanta ne hai oggi, perché più o meno abbiamo un’idea di quanta ce ne debba essere, e puoi calcolare quale dovrebbe essere l’interazione con il modello standard, e dunque la massa. Sono i calcoli che hanno portato a ipotizzare che dovesse essere una particella che interagiva con la weak force e avere una massa attorno ai 100 GeV. Calcoli che hanno motivato esperimenti come quelli al Gran Sasso per la ricerca delle wimps, insomma».

Che però non sono mai state trovate…

«Purtroppo non ancora, nonostante oramai i trent’anni di ricerche. Ecco allora che i fisici hanno iniziato a chiedersi se potessero esserci altre possibilità – sempre sperando che ci sia una qualche interazione tra questa materia oscura e quella ordinaria, perché se non c’è il gioco è finito, o diventa veramente duro, diciamo. Un’altra possibilità c’è, ed è che l’interazione sia molto più piccola di quanto si pensasse. Molto più piccola, in particolare, di quella che occorre per arrivare al freeze out: sufficientemente piccola da far sì che non ci sia mai equilibrio termico tra la materia oscura e il modello standard».

Secondo il modello descritto nell’articolo su Physical Review Letters, le particelle di materia oscura (punti neri) hanno iniziato a formarsi quando l’universo si è espanso rapidamente durante un periodo chiamato inflazione cosmica, poco prima del Big Bang. Crediti: Gabriele Montefalcone

E dunque quando avverrebbe la sua formazione?

«Be’, anzitutto assumiamo che all’inizio non ci sia la materia oscura, c’è soltanto il modello standard. Se c’è un’interazione piccolissima, la materia oscura viene prodotta da questa interazione. Perché per esempio può accadere, anche se raramente, che due particelle di modello standard si annichiliscano in materia oscura. Ma l’opposto non accadrà mai. Ecco così che pian piano produci materia oscura: è il processo che chiamiamo freeze in. Uno scenario molto semplice, che parte da una piccolissima interazione e pian piano arriva all’abbondanza di materia oscura che osserviamo».

Arriviamo ora al vostro scenario: questo processo di freeze in che ci ha appena descritto come si intreccia con l’inflazione calda?

«Proviamo a chiederci: e se non fosse vero che all’inizio, diversamente da quanto assunto prima, non c’è abbondanza di materia oscura? È possibile? Nel modello d’inflazione calda che ho descritto prima, ricordiamocelo, c’è anche la radiazione. C’è già prima del Big Bang. E se questa radiazione ha una anche minima interazione con la materia oscura, non possiamo più escludere che possa produrla. Certo, a dominare sarebbe sempre l’inflatone, con un piccolo residuo di radiazione. E a sua volta una porzione minima della radiazione diventerebbe materia oscura. Insomma, la conclusione alla quale arriviamo è che ci sia un’inflazione calda, e durante quest’inflazione calda avvenga una qualsiasi piccola interazione tra la radiazione e la materia oscura, come previsto dal meccanismo del freeze in: ecco così che di materia oscura se ne produrrà già durante l’inflazione. E se ne produrrà un bel po’».

Affascinante. C’è modo di sottoporlo a verifica, questo scenario? Sperimentalmente, intendo? È che a questo punto la natura della materia oscura mi sembra ancora più oscura delle Wimps…

«È senz’altro molto difficile. Purtroppo, nella ricerca della materia oscura, siamo arrivati a una situazione in cui abbiamo una classe di modelli che possiamo sottoporre a sperimentazione, ma sono molto circoscritti rispetto ai modelli che ci siamo nel frattempo inventati, che abbiamo postulato. La cosa che però trovo interessante del nostro modello è che qualche possibilità di verifica c’è. Prevedendo interazioni così lievi con la materia standard, i modelli di freeze in sono praticamente impossibili da verificare, almeno per i prossimi 20-30 anni. Ma nel nostro caso verrebbe tutto prodotto durante l’inflazione, dunque è prevista una connessione tra l’inflatone e la materia oscura. Ciò significa che future osservazioni che ci aiutino a determinare il modello di inflazione ci daranno anche un po’ d’informazione su questa materia oscura. In questo senso potremmo avere possibilità sperimentali, per quanto indirette, nei prossimi dieci anni».

Come? Cosa dovrebbe accadere nei prossimi dieci anni?

«Se siamo fortunati avremo nuove informazioni, sia dall’osservazione della radiazione cosmica di fondo che dalle grandi survey di galassie, su due elementi relativi all’inflazione. Anzitutto, quante onde gravitazionali primordiali sono state prodotte, dall’inflazione. Secondo elemento, l’ammontare di non gaussianità nello spettro di queste perturbazioni. Detto altrimenti, l’inflazione calda ha una smoking gun, una firma abbastanza peculiare: una quantità ridottissima – sostanzialmente nulla – di onde gravitazionali primordiali, che dunque non dovremmo vedere, e allo stesso tempo dovrebbe avere non gaussianità abbastanza elevate nello spettro di perturbazione. Quindi se nel prossimo decennio noi riuscissimo a osservare queste non gaussianità e, al tempo stesso, non trovassimo traccia di onde gravitazionali primordiali, secondo me ci troveremmo davanti a un’evidenza abbastanza significativa della possibilità che ci sia effettivamente stata un’inflazione calda».

E quali fra i telescopi in costruzione potrebbero portare a queste osservazioni? Poiché parliamo di onde gravitazionali primordiali, immagino non si riferisca a Lisa o all’Einstein Telescope, giusto?

«No, quelli lavorano a frequenze totalmente diverse. Penso anzitutto a una missione spaziale come LiteBird, ma anche, da terra, al Simons Observatory e a Cmb-S4, il cui obiettivo scientifico principale è proprio la misura della cosiddetta tensor-to-scalar ratio, dunque delle onde gravitazionali primordiali».


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