Ora che è trascorso qualche tempo e la questione del memo interno a Google scritto da James Darmore si è sgonfiata, e abbiamo relegato la vicenda e lo sdegno nel dimenticatoio, vorrei fare un paio di considerazioni. Quello che mi interessa non è entrare nel merito del memo e analizzarne il contenuto, quanto più il contesto nel quale è sbocciato. L’intento dichiarato del suo autore era quello di provare a spiegare le cause del gap esistente tra i sessi in ambito informatico.
Le intenzioni pare fossero buone, non altrettanto le argomentazioni. La bomba mediatica riguardante le suddette argomentazioni contenute nel memo, e che ha portato al licenziamento dell’ingegnere, è scoppiata quasi un mese dopo che il memo era stato scritto e circolava internamente a Google.
È perciò lecito supporre che se non fosse trapelato James Darmore non sarebbe stato licenziato.
Tuttavia la cosa davvero interessante, e che fa riflettere, è per l’appunto il mese trascorso dalla creazione del memo: sembra infatti che tale memo girò all’interno di Google, sottoposto a svariati colleghi, senza ricevere però alcuna recriminazione o critica, né sdegno o biasimo, come se gli argomenti contenuti nel memo fossero largamente condivisi all’interno dell’azienda; solamente una volta pubblicato sul web Google si è uniformata all’indignazione generale, prendendo le distanze da Darmore e licenziandolo per preservare la propria immagine.
Ed è qui la seconda cosa notevole. Google, che si fregia di essere tollerante, aperta al dialogo, il cui motto è “don’t be evil” ecc., ha preferito tentare di salvare l’apparenza allontanandosi dal memo e dal suo autore anziché ammettere di avere un problema interno. Si perché, come si è detto, in un mese nessuna rimostranza era stata mossa al memo, perciò sembrerebbe che Darmore non fosse l’unico a pensarla in quella maniera.
Pare quindi che il licenziamento sia stato causato dalle idee del dipendente, idee non uniformi a quelle dell’azienda (che fine ha fatto la tolleranza?) e solitamente è preferibile discutere le situazioni/idee controverse così da spiegare gli errori nelle argomentazioni dell’altro per quanto assurde o bislacche possano essere (successivamente è stata organizzata una riunione riguardo al memo per rispondere alle domande dei dipendenti, inoltrate tramite un software interno all’azienda, che però è stata cancellata all’ultimo momento in seguito alla diffusione di tali domande al di fuori di Google).
Invece licenziandolo ha dato un monito ai dipendenti che hanno idee diverse non conformi all’azienda.
Il dialogo serve a crescere e migliorare, non è la censura la risposta. Il fatto che Google abbia preferito seppellire la questione anziché fare una sana autocritica fa riflettere su quanto importante sia l’immagine che l’azienda vuole mantenere all’esterno (così come è riuscita a far passare per neutrale il suo motore di ricerca quando neutrale non è). Da un’azienda come Google mi sarei aspettato qualcosa di più.
Questa vicenda, congiuntamente all’assurda frase detta da Darmore durante una successiva intervista di Bloomberg in cui afferma (riguardo all’intento del memo) “di voler rendere Google, e il mondo, un posto migliore”, mi ha fatto tornare in mente una frase scritta da Birkerts in cui dice che nei suoi incubi <<non ci sono neotrogloditi che grugniscono e maneggiano la clava, ma efficienti e ricchi manager informatici che vivono ai livelli più bassi di ciò che significa essere umani e non si accorgono della differenza>>.
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