Secondo gli scienziati, il virus H5N1 sta sviluppando la capacità di infettare nuovi mammiferi, aumentando così la possibilità di diffusione tra gli esseri umani.
Un caso mortale in Europa e il crescente allarme degli esperti
Ieri è stato confermato il primo caso letale di influenza aviaria in Europa, nel Regno Unito. Nel frattempo, la rivista Nature Medicine ha pubblicato un’analisi approfondita sul rischio di un’epidemia su larga scala. Dopo la scoperta di dieci mesi fa che il virus H5N1, tradizionalmente diffuso tra gli uccelli selvatici, può infettare facilmente il bestiame, almeno 68 persone in Nord America sono state contagiate, con un decesso registrato. Sebbene la maggior parte dei casi abbia manifestato sintomi lievi, i dati indicano che le varianti del virus presenti in Nord America possono provocare infezioni gravi e persino letali, soprattutto quando trasmesse direttamente dagli uccelli agli esseri umani.
Oltre a ciò, il virus ha dimostrato di poter adattarsi a nuovi ospiti, come bovini e altri mammiferi, aumentando così la probabilità di una futura pandemia umana. La virologa Seema Lakdawala, esperta di influenza presso la Emory University School of Medicine di Atlanta, sottolinea che il pericolo è aumentato notevolmente negli ultimi due mesi, in particolare a causa di recenti casi di infezioni gravi.
A complicare ulteriormente la situazione è stata la decisione del neoeletto presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di ritirare il Paese dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ente responsabile del coordinamento globale nella gestione delle emergenze sanitarie. Questo annuncio ha destato grande preoccupazione tra gli scienziati, che temono un impatto negativo sulle strategie di contenimento del virus.
Le varianti del virus e la diffusione tra gli animali
I ricercatori stanno monitorando due principali varianti di H5N1. La prima, denominata B3.13, si sta diffondendo soprattutto tra i bovini, mentre la seconda, chiamata D1.1, è prevalente tra gli uccelli, sia selvatici che da allevamento, come i polli.
La variante B3.13 ha contagiato rapidamente numerosi allevamenti negli Stati Uniti, infettando oltre 900 mandrie in 16 stati e trasmettendosi anche ad altri animali, tra cui gatti, puzzole e pollame. Il latte delle mucche infette presenta elevate concentrazioni del virus, facilitandone la diffusione sia tra gli animali che tra i lavoratori del settore lattiero-caseario. Durante la mungitura, infatti, il virus può essere trasmesso attraverso le particelle di liquidi nebulizzati nell’aria o depositarsi sulle superfici.
Finora, almeno 40 persone in Nord America sono state infettate dopo essere entrate in contatto con bovini malati. Questi casi hanno generalmente provocato solo sintomi lievi, come problemi respiratori e congiuntivite. Tuttavia, altre 24 persone hanno contratto il virus da uccelli infetti e, in due di questi casi, l’infezione è stata particolarmente grave: una persona è rimasta ricoverata per mesi, mentre l’altra è deceduta. I dati disponibili non sono ancora sufficienti per stabilire se una delle due varianti sia più pericolosa dell’altra. Secondo Lakdawala, la gravità della malattia può dipendere da fattori come le condizioni di salute preesistenti o la modalità di esposizione al virus.
Vie di trasmissione e rischi per i lavoratori del settore lattiero-caseario
Chi lavora negli allevamenti di bovini è particolarmente vulnerabile al contagio, poiché l’inalazione di particelle di latte infetto o il contatto con gocce contaminate può favorire la trasmissione del virus. Alcune ricerche suggeriscono che un’infezione polmonare diretta potrebbe risultare particolarmente aggressiva.
Uno studio pubblicato su Nature il 15 gennaio ha analizzato gli effetti della variante B3.13 su macachi di cinomolgo. I risultati hanno mostrato che gli animali a cui il virus era stato introdotto direttamente nei polmoni sviluppavano forme gravi di malattia, mentre quelli infettati attraverso il naso o la bocca presentavano sintomi più lievi. Questo non significa però che il consumo di latte crudo sia sicuro, avverte Heinz Feldmann, capo del laboratorio di virologia dell’Istituto nazionale di allergia e malattie infettive degli Stati Uniti. I test di laboratorio non sempre rispecchiano la realtà e il latte deve essere pastorizzato per eliminare agenti patogeni potenzialmente pericolosi.
Diversi animali reagiscono in modo differente al virus. Ad esempio, più di dieci gatti sono morti dopo aver ingerito latte crudo o carne contaminata da H5N1. Feldmann sottolinea che il latte vaccino può rappresentare un rischio, non solo per l’influenza aviaria, ma anche per altri patogeni.
L’adattamento del virus e il rischio di trasmissione umana
Secondo un’analisi genetica pubblicata il 6 gennaio sulla piattaforma bioRxiv, il virus H5N1 sta acquisendo nuove mutazioni che ne facilitano la replicazione nelle cellule delle vie respiratorie di bovini e umani. Daniel Goldhill, virologo del Royal Veterinary College nel Regno Unito, spiega che la variante B3.13 ha subito trasformazioni genetiche che la rendono più efficiente nell’infettare le cellule bovine e, potenzialmente, anche quelle umane.
Questo fenomeno rappresenta un primo passo verso un possibile salto di specie più efficace. Goldhill avverte che altre mutazioni potrebbero aumentare ulteriormente il rischio di trasmissione tra esseri umani, anche se al momento non sono ancora state rilevate. Attualmente, il virus si lega a un recettore cellulare tipico degli uccelli e di alcune cellule bovine, che però è poco diffuso nelle cellule umane. Tuttavia, una singola mutazione potrebbe modificare questa preferenza, facilitando l’infezione negli esseri umani.
Rispetto a dieci mesi fa, il virus ha avuto molte più opportunità di adattarsi ai mammiferi, poiché ha già infettato un numero considerevole di bovini e altri animali negli Stati Uniti. Questo aumento delle occasioni di mutazione potrebbe rappresentare un serio pericolo per la salute pubblica.