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No, non abbiamo davvero scoperto segni di vita su un pianeta extrasolare

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Nel settembre del 2023, il telescopio spaziale James Webb aveva già catturato l’attenzione del mondo scientifico – e non solo – con un annuncio che ha fatto sognare: nell’atmosfera del pianeta K2-18b sono state rilevate molecole che sulla Terra sono associate alla presenza di vita. In particolare, la presenza di anidride carbonica, metano e forse dimetilsolfuro (DMS), una sostanza che sul nostro pianeta è prodotta quasi esclusivamente da fitoplancton marini, ha acceso l’interesse di astrobiologi e astronomi. Ma è lecito parlare di “segni di vita”? O siamo ancora troppo lontani per azzardare simili conclusioni?

K2-18b: un mondo che sfida le categorie

K2-18b è un esopianeta situato a 124 anni luce dalla Terra, nella costellazione del Leone. Si tratta di un sub-Nettuno, una categoria di pianeti ancora misteriosa perché non abbiamo nulla di simile nel nostro Sistema Solare. Ha un raggio circa 2,6 volte quello terrestre e una massa circa 8,6 volte superiore, elementi che indicano un mondo con una densa atmosfera ricca di idrogeno. Si trova nella zona abitabile della sua stella, ossia quella regione dove, teoricamente, l’acqua potrebbe esistere in forma liquida.

Le molecole “interessanti”: tracce o coincidenze?

Le osservazioni del James Webb sono riuscite a individuare tracce spettroscopiche nell’atmosfera del pianeta compatibili con la presenza di CO₂, CH₄ e, con minore certezza, DMS. Quest’ultima molecola, sulla Terra, è fortemente legata all’attività biologica: è prodotta da microrganismi negli oceani e svolge anche un ruolo importante nella formazione delle nubi.

Tuttavia, il rilevamento del DMS non è confermato con certezza statistica. I dati raccolti dal Webb sono preliminari, e potrebbero essere soggetti a errori di interpretazione o a rumore strumentale. La spettroscopia atmosferica a queste distanze è un’impresa complessa e richiede molteplici osservazioni per poter validare ipotesi così ambiziose.

Vita o abiogenesi? Il rischio dell’antropocentrismo scientifico

Anche qualora il DMS fosse confermato, non sarebbe automaticamente una prova della vita. In astrobiologia, una “biofirma” è qualsiasi indicatore chimico potenzialmente associato ad attività biologica, ma non è una prova diretta. Esistono infatti processi abiotici che, in condizioni particolari, possono generare molecole come il metano e perfino il DMS. Affermare che una molecola è “di origine biologica” basandosi solo sulla nostra esperienza terrestre può portarci in trappole epistemologiche: il nostro modello di vita è basato sul carbonio, sull’acqua liquida e su un range termico molto ristretto. Ma l’Universo potrebbe sorprenderci con biochimiche totalmente diverse.

Il peso mediatico delle scoperte e l’illusione della conferma

Un altro aspetto critico è il modo in cui queste scoperte vengono comunicate. Se da un lato è comprensibile che NASA ed ESA vogliano mettere in luce i risultati delle loro costosissime missioni, dall’altro la comunicazione al grande pubblico rischia di esagerare le implicazioni. Titoli come “Scoperta la vita su un altro pianeta?” alimentano aspettative infondate e, se smentite, possono creare scetticismo verso la scienza.

Un articolo scientifico è sempre prudente, pieno di condizionali, margini d’errore e note metodologiche. Ma i comunicati stampa – e a volte anche le riviste di alto livello – tendono a “spingere” le notizie oltre ciò che i dati realmente permettono di dire.

La vera notizia: l’astrobiologia è entrata in una nuova era

Nonostante tutto, la rilevazione atmosferica di molecole complesse su un esopianeta abitabile è un evento storico.Fino a pochi anni fa, l’idea stessa di analizzare la composizione atmosferica di un pianeta a oltre 100 anni luce sembrava fantascienza. Oggi, grazie al James Webb Space Telescope, possiamo raccogliere spettri di luce che attraversano le atmosfere di mondi lontani e confrontarli con quelli ottenuti in laboratorio.

Non abbiamo ancora trovato la vita, ma abbiamo i mezzi per cercarla seriamente. E stiamo iniziando a costruire una catalogazione di ambienti potenzialmente abitabili, un passo fondamentale per un’eventuale futura missione dedicata alla ricerca di biofirme definitive.


Un passo avanti, ma con cautela

La possibile rilevazione di molecole come il dimetilsolfuro su K2-18b è senza dubbio uno dei risultati più suggestivi mai ottenuti nel campo dell’astrobiologia. Tuttavia, non siamo ancora in grado di affermare che vi sia vita su quel pianeta. I dati sono promettenti, ma preliminari, e il margine di incertezza è ancora troppo alto per trarre conclusioni definitive.

La prudenza, in questo caso, è sinonimo di rigore scientifico. La ricerca della vita oltre la Terra è una delle imprese più affascinanti dell’umanità, ma richiede pazienza, precisione e soprattutto onestà intellettuale. Non abbiamo ancora trovato la risposta alla domanda “Siamo soli?”, ma stiamo imparando a porla nel modo giusto. E forse, questa è la vera scoperta.

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