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Chi pagherà i Dazi voluti da Trump?

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Risposta breve: i cittadini e le famiglie americane.

Sabato, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha introdotto dazi, ovvero imposte sulle merci importate da paesi esteri, colpendo in particolare Canada, Messico e Cina. Questi dazi rappresentano uno degli strumenti principali della sua politica economica, anche se per anni gli economisti li avevano considerati obsoleti. La teoria economica, infatti, aveva dimostrato che i dazi potevano distorcere il mercato e risultare controproducenti, mentre la globalizzazione e il libero scambio avevano portato benefici diffusi.

SPIEGAZIONE BREVE

Quando un governo impone dei dazi sulle importazioni, la domanda fondamentale è: chi paga realmente questi dazi? Nel caso dei dazi voluti da Donald Trump, la risposta dipende da diversi fattori economici, ma in generale possiamo distinguere tre principali attori coinvolti:

1. Le aziende importatrici (e indirettamente i consumatori)

Quando gli Stati Uniti impongono un dazio su un prodotto importato, l’azienda che importa quel prodotto è la prima a dover pagare la tassa doganale. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, queste aziende trasferiscono il costo ai consumatori finali aumentando i prezzi.
💡 Esempio: Se gli USA impongono un dazio del 25% sulle auto europee, i concessionari americani pagheranno il dazio, ma poi aumenteranno i prezzi delle auto importate per recuperare il costo. Alla fine, il consumatore statunitense paga il prezzo più alto.

2. I produttori stranieri

Se il mercato è molto competitivo e i consumatori americani non sono disposti a pagare prezzi più alti, i produttori stranieri potrebbero essere costretti ad abbassare i prezzi per compensare il dazio e mantenere le vendite. In questo caso, sono le aziende esportatrici (ad esempio quelle cinesi o europee) a ridurre i propri margini di guadagno.
💡 Esempio: Se un’azienda cinese vende acciaio negli USA e gli americani non vogliono pagare un prezzo più alto a causa del dazio, l’azienda cinese potrebbe abbassare il prezzo di vendita per mantenere i clienti.

3. Gli esportatori americani

Se i paesi colpiti dai dazi americani rispondono con ritorsioni commerciali, le aziende esportatrici statunitensi possono subire un contraccolpo. Infatti, se la Cina impone dazi sui prodotti agricoli americani in risposta a quelli di Trump, gli agricoltori statunitensi vedranno crollare la domanda dei loro prodotti.
💡 Esempio: Durante la guerra commerciale USA-Cina, i produttori di soia americani hanno subito perdite enormi perché la Cina ha imposto dazi di ritorsione, riducendo le importazioni dagli Stati Uniti.

Conclusione

I dazi non vengono “pagati” da un solo soggetto, ma il costo si distribuisce tra:
Consumatori americani, che pagano prezzi più alti.
Importatori americani, che devono anticipare il costo dei dazi.
Esportatori stranieri, che potrebbero dover abbassare i prezzi.
Esportatori americani, che rischiano ritorsioni commerciali.

L’effetto finale dipende dall’elasticità della domanda e dell’offerta: se i consumatori americani possono facilmente sostituire i prodotti importati con alternative locali, il peso del dazio ricade maggiormente sugli esportatori stranieri. Altrimenti, saranno gli americani a pagare prezzi più alti.

SPIEGAZIONE ESTESA

I dazi funzionano come un’imposta sulle merci importate, calcolata in percentuale sul prezzo di vendita. Vengono pagati dall’importatore al momento dell’ingresso delle merci nel paese e sono concepiti per proteggere le aziende nazionali dalla concorrenza straniera. Ad esempio, se l’Unione Europea impone un dazio del 17% sulle auto elettriche prodotte dalla cinese BYD, un grossista italiano che acquista un veicolo per 20.000 euro dovrà versare 3.400 euro alla dogana, portando il costo totale dell’auto a 23.400 euro più spese di trasporto. Di conseguenza, il prezzo di vendita sarà più alto e il costo del dazio finirà per gravare sui consumatori.

L’obiettivo dei dazi è rendere meno convenienti i prodotti esteri, incentivando così l’acquisto di quelli nazionali. Tuttavia, nel mercato reale, i consumatori non si basano esclusivamente sul prezzo: potrebbero preferire un’auto cinese per le sue prestazioni, per la disponibilità o perché, nonostante il dazio, è comunque più economica rispetto a un’alternativa europea. L’impatto effettivo dei dazi dipende quindi dal tipo di prodotto e dalla sua richiesta sul mercato. Se il prodotto è essenziale o desiderato, i consumatori continueranno ad acquistarlo, accettando il sovrapprezzo.

Un caso limite può essere quello della mozzarella cinese esportata in Italia: se l’Unione Europea imponesse un dazio su questo prodotto, è probabile che i consumatori preferirebbero la mozzarella locale, più economica e qualitativamente migliore. In tal caso, il produttore cinese potrebbe ridurre il prezzo per compensare il dazio e mantenere il mercato, facendosi carico dell’imposta. Questo meccanismo è legato alla cosiddetta “elasticità della domanda”: se i consumatori sono molto sensibili ai cambiamenti di prezzo, il peso del dazio ricade maggiormente sul produttore.

Nella maggior parte dei casi, però, il costo del dazio viene suddiviso tra produttori e consumatori, contribuendo generalmente a un aumento dei prezzi e all’inflazione. Un altro aspetto cruciale è l’effetto redistributivo dei dazi: essi incidono sia sul costo della vita sia sui redditi. Se ben strutturati, possono stimolare la produzione nazionale e aumentare l’occupazione in alcuni settori. Tuttavia, se colpiscono prodotti di largo consumo, finiscono per penalizzare le fasce di popolazione con redditi più bassi.

Un esempio concreto sono i dazi imposti da Trump su tutte le merci importate da Messico e Canada, due partner commerciali fondamentali per gli Stati Uniti. Queste misure potrebbero favorire la ripresa di settori manifatturieri colpiti dalla delocalizzazione, incentivando la produzione interna e creando posti di lavoro. Tuttavia, poiché riguardano un’ampia gamma di prodotti, senza distinguere quelli più essenziali per le fasce deboli della popolazione, potrebbero determinare un aumento generale dei prezzi, riducendo il potere d’acquisto dei consumatori.

L’unico attore che trae sempre beneficio dai dazi è il governo, che ne incassa i proventi attraverso le dogane. Per esempio, circa il 14% del bilancio dell’Unione Europea proviene dai dazi. L’UE, essendo un’unione doganale, applica dazi comuni a tutti i suoi membri e si rapporta agli altri paesi come un’entità unica: nessuno stato membro può imporre dazi autonomamente su prodotti di paesi terzi.

A partire dagli anni ’90, la comunità internazionale ha cercato di limitare l’uso dei dazi attraverso accordi commerciali e l’adesione all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), che promuove il libero scambio e vieta misure protezionistiche discriminatorie. Tuttavia, esistono eccezioni, come i dazi antidumping, pensati per contrastare la concorrenza sleale di aziende che beneficiano di sussidi statali. Un esempio sono i dazi europei sulle auto elettriche cinesi, volti a compensare il vantaggio competitivo delle imprese asiatiche rispetto a quelle europee.

Un’altra eccezione riguarda i settori strategici per la sicurezza nazionale: negli ultimi anni, gli Stati Uniti hanno adottato misure restrittive per limitare lo sviluppo tecnologico della Cina, ritenuto un rischio per la propria leadership economica e militare.

In sintesi, i dazi possono proteggere alcune industrie nazionali e creare occupazione, ma tendono ad aumentare i prezzi e colpiscono in modo sproporzionato i consumatori con redditi più bassi. Il loro effetto dipende dalla struttura del mercato e dalla capacità dei governi di bilanciare protezionismo e libero scambio.

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