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Perché l’estrema destra e i populisti rinnegano la scienza?

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Negli ultimi anni, il rifiuto della scienza è diventato un tratto distintivo di alcuni movimenti di estrema destra e populisti. Questo fenomeno si manifesta in diversi ambiti, dal negazionismo climatico all’opposizione ai vaccini, fino alla diffidenza verso i protocolli sanitari durante la pandemia. Ma perché l’estrema destra abbraccia questa posizione apparentemente contraddittoria, che sembra negare la realtà fisica del mondo? Comprendere le radici di questo atteggiamento richiede di analizzare fattori culturali, politici e psicologici che lo alimentano.

La scienza come espressione delle élite

Uno dei motivi principali per cui l’estrema destra rifiuta la scienza è la percezione che questa sia un’emanazione delle élite globali. La scienza moderna, con le sue istituzioni accademiche e i suoi esperti, è spesso associata a figure tecnocratiche e sovranazionali. Per i movimenti di destra radicale, che tendono a essere populisti, le élite sono viste come una minaccia per l’autonomia e l’identità delle persone comuni. Così, il rigetto della scienza diventa un rigetto delle autorità percepite come distanti e oppressive.

Ad esempio, il negazionismo climatico si basa spesso sull’idea che le politiche per combattere il cambiamento climatico siano un pretesto per limitare le libertà individuali e per introdurre regolamentazioni che favoriscono l’élite finanziaria e tecnologica. La scienza, in questo contesto, non viene vista come uno strumento per comprendere il mondo, ma come un’arma ideologica.

Gli interessi economici delle lobby del potere

Donald Trump ha storicamente mantenuto una posizione favorevole all’industria dei combustibili fossili, motivata da una combinazione di interessi economici e politici. Durante la sua presidenza (2017-2021), ha sistematicamente smantellato regolamentazioni ambientali, ritirato gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi e promosso politiche che incentivavano la produzione domestica di petrolio, gas naturale e carbone.

Questa linea d’azione non è casuale, ma è il risultato di un intreccio tra interessi economici e alleanze strategiche. Le imprese petrolifere hanno avuto un ruolo cruciale nel sostenere la sua campagna elettorale, sia attraverso finanziamenti diretti sia attraverso il supporto indiretto di gruppi di lobbying che promuovono i loro interessi. L’American Petroleum Institute, ad esempio, ha esercitato una significativa influenza sulle politiche ambientali dell’amministrazione Trump, spingendo per una deregulation che ha permesso maggiori profitti per il settore.

Azioni programmatiche di Trump a favore del settore petrolifero

  1. Revoca delle regolamentazioni ambientali: Trump ha eliminato normative che limitavano le emissioni di gas serra e che proteggevano aree naturali sensibili, come il divieto di trivellazione nell’Arctic National Wildlife Refuge.
  2. Promozione della produzione energetica interna: Ha definito il concetto di “energia dominante” come un obiettivo strategico per gli Stati Uniti, favorendo le esportazioni di combustibili fossili per aumentare il peso geopolitico americano.
  3. Attacchi alle energie rinnovabili: Durante la sua presidenza, ha sostenuto che le energie rinnovabili fossero economicamente insostenibili e ha ridotto i fondi federali per la ricerca e lo sviluppo in settori come l’energia solare ed eolica.
  4. Negazione del cambiamento climatico: Trump ha spesso definito il cambiamento climatico una “bufala” o una “truffa cinese,” delegittimando la scienza e favorendo la narrazione che le politiche climatiche siano un complotto contro l’industria americana.

La connessione con le imprese petrolifere non è quindi solo ideologica ma profondamente radicata in interessi economici diretti. Molti membri della sua amministrazione provenivano o erano legati all’industria fossile, rafforzando questa sinergia.

Di conseguenza, ogni sua azione politica in tema di ambiente e energia sembra essere programmata per salvaguardare i profitti delle imprese petrolifere, anche a scapito di questioni globali come il cambiamento climatico o la sostenibilità a lungo termine.

L’individualismo radicale

Un altro elemento cruciale è l’individualismo, profondamente radicato nella destra politica. Molte soluzioni proposte dalla scienza, in particolare per affrontare crisi globali come quella climatica, richiedono azioni collettive, interventi statali e restrizioni sul comportamento individuale. Questo è in contrasto con l’ideologia della destra estrema, che esalta l’autonomia personale e si oppone a qualsiasi forma di controllo centralizzato.

Durante la pandemia di COVID-19, questa mentalità si è manifestata nell’opposizione a misure come il lockdown o l’obbligo vaccinale, viste come violazioni della libertà personale. Per alcuni esponenti dell’estrema destra, accettare la scienza significava accettare l’idea che l’individuo debba subordinarsi al bene comune, un principio rifiutato alla base.

Il ruolo della disinformazione

La disinformazione è un altro fattore che ha contribuito al rifiuto della scienza. Negli ambienti di estrema destra, le teorie del complotto sono diffuse e spesso promosse attivamente. Internet e i social media hanno amplificato questi fenomeni, permettendo a narrazioni antiscientifiche di raggiungere un vasto pubblico.

Il cambiamento climatico, ad esempio, è stato spesso descritto come una “truffa” orchestrata per distruggere le economie nazionali a vantaggio di paesi emergenti o multinazionali. Queste narrazioni trovano terreno fertile tra coloro che vedono il mondo come un luogo governato da complotti e manipolazioni.

L’attacco all’universalità della scienza

L’estrema destra si oppone anche all’universalità della scienza, cioè all’idea che le sue leggi e i suoi principi siano validi indipendentemente da confini nazionali o culturali. Movimenti nazionalisti e sovranisti rifiutano l’idea di dover seguire linee guida o standard scientifici stabiliti da organizzazioni internazionali, come l’ONU o l’OMS.

Questa opposizione deriva da una visione del mondo che privilegia il localismo e la sovranità nazionale. Per questi gruppi, accettare la scienza significa accettare un’autorità globale che limita l’autonomia dei singoli stati.

Il fascino della tradizione

Un altro aspetto fondamentale è il richiamo alla tradizione. L’estrema destra spesso idealizza un passato mitico in cui il progresso tecnologico e scientifico erano meno influenti. Questo porta a una sorta di nostalgia anti-scientifica, che si oppone all’innovazione e alla modernità in nome di valori ritenuti “puri” e immutabili.

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Ad esempio, il ritorno a pratiche mediche alternative o il rifiuto della medicina moderna sono a volte legati all’idea che le tradizioni del passato siano più autentiche e naturali rispetto alle scoperte scientifiche contemporanee. Questo atteggiamento si collega anche alla sfiducia verso la modernità come simbolo di decadenza morale.

La scienza come minaccia all’identità

La scienza, con il suo approccio universale e razionale, spesso smonta credenze e narrazioni identitarie. Ad esempio, le teorie evoluzionistiche e gli studi genetici mettono in discussione visioni razziste o suprematiste che vedono alcune razze come “superiori”. Questo porta l’estrema destra a rigettare queste scoperte in quanto considerate contrarie alla loro visione del mondo.

Analogamente, il cambiamento climatico rappresenta una minaccia per economie tradizionali come quelle basate sul carbone o sul petrolio, spesso radicate in aree che l’estrema destra cerca di difendere come simbolo della propria identità culturale e sociale.

La psicologia del rifiuto

A livello psicologico, il rifiuto della scienza può essere spiegato attraverso il concetto di dissonanza cognitiva: accettare certe verità scientifiche comporterebbe un cambiamento radicale nelle proprie convinzioni e nel proprio stile di vita, un costo emotivo che molti non sono disposti a pagare. Questo fenomeno è amplificato in gruppi che costruiscono la loro identità collettiva attorno all’idea di opposizione al sistema.

Come contrastare il rifiuto della scienza?

Per affrontare questo problema, è necessario un approccio multidisciplinare. Da un lato, è fondamentale migliorare la comunicazione scientifica, rendendo le informazioni accessibili e comprensibili, evitando toni paternalistici che alimentano ulteriormente il rigetto. Dall’altro, è necessario affrontare le cause profonde del fenomeno, come la sfiducia nelle istituzioni e la percezione di esclusione sociale.

Il paradosso del rifiuto della scienza e l’ammirazione per Russia e Cina

Uno degli aspetti più contraddittori dei movimenti populisti e di destra è il rifiuto della scienza in Occidente, accompagnato da una visione spesso positiva di paesi come Russia e Cina, dove la scienza è altamente finanziata, rispettata e utilizzata come strumento strategico. Questo paradosso evidenzia una complessa dinamica di valori ideologici, percezioni geopolitiche e propaganda culturale.

Il rifiuto della scienza come rifiuto dell’élite occidentale

Il populismo di destra in Occidente si nutre della diffidenza verso le élite nazionali e internazionali, percepite come distanti dai bisogni della “gente comune”. La scienza, in questo contesto, è spesso considerata parte integrante di quelle élite: tecnocrati, accademici e organismi sovranazionali (come l’ONU o l’OMS) che impongono regole e restrizioni.

Tuttavia, quando si guarda alla Russia o alla Cina, questa diffidenza sembra svanire. Qui, la scienza non è percepita come uno strumento delle élite, ma come un elemento che rafforza il potere dello Stato e la sua sovranità. Per i populisti occidentali, ciò appare coerente con il loro desiderio di un’autorità forte e centralizzata, che protegga gli interessi nazionali senza essere condizionata da influenze esterne.

La scienza come arma geopolitica

Russia e Cina investono massicciamente nella scienza e nella tecnologia, non solo per il progresso economico, ma anche per affermarsi come potenze globali. Questo include campi come l’esplorazione spaziale, la tecnologia militare e la ricerca medica, settori che rappresentano forza e autonomia.

Per i movimenti di destra in Occidente, che spesso esaltano una visione militarista e sovranista, questi investimenti non sono visti come “scienza accademica”, ma come un’espressione di potenza nazionale. La scienza in Russia e Cina diventa quindi sinonimo di patriottismo e autodeterminazione, valori in linea con l’ideologia populista.

L’idealizzazione dell’autoritarismo

La destra populista occidentale tende a idealizzare i regimi autoritari come la Russia di Putin o la Cina di Xi Jinping, considerandoli modelli di stabilità e ordine in contrapposizione al caos percepito delle democrazie liberali. In questo contesto, la scienza non è più vista come una minaccia alla libertà personale, ma come uno strumento di progresso e controllo statale che consolida il potere di un governo forte.

Questo atteggiamento contrasta con l’approccio occidentale, dove le politiche basate sulla scienza (come le misure anti-COVID) vengono percepite come invadenti e oppressive. La differenza non risiede tanto nella scienza in sé, ma nel sistema politico che la utilizza: i populisti di destra vedono positivamente la scienza quando è subordinata a un’autorità centralizzata che rispecchia i loro ideali, ma la respingono quando è associata a governi democratici e alle istituzioni globali.

La propaganda culturale e il ruolo della disinformazione

Russia e Cina hanno anche saputo sfruttare la propaganda culturale per promuovere un’immagine di nazioni razionali e meritocratiche, dove la scienza è rispettata. Attraverso i social media e altri canali, hanno amplificato questa narrativa, contrapponendola a quella dell’Occidente, descritto come decadente e in declino.

Questa propaganda trova terreno fertile nei movimenti di destra, che già criticano le istituzioni scientifiche occidentali per il loro presunto legame con il “politicamente corretto” e altre ideologie progressiste. Russia e Cina, al contrario, appaiono come luoghi dove la scienza è libera da queste “contaminazioni ideologiche” e rimane focalizzata su obiettivi pratici e nazionali.

La scienza come ideologia e non come metodo

Il paradosso si spiega anche considerando che, per molti movimenti di destra, la scienza non è vista come un metodo neutrale di indagine sulla realtà, ma come un’ideologia. In Occidente, la scienza viene associata a valori progressisti, come l’ambientalismo, i diritti civili e il globalismo, che l’estrema destra respinge.

Quando la scienza è invece subordinata a un regime autoritario come in Russia o Cina, perde questa connotazione ideologica e diventa accettabile, perché viene percepita come uno strumento di potere, non come una minaccia ai valori tradizionali.

Il mito del nemico comune

Un ulteriore fattore è la costruzione di un nemico comune. Per i populisti di destra, l’Occidente progressista rappresenta un avversario che mina i valori tradizionali e nazionali. Russia e Cina, in quanto paesi antagonisti rispetto all’Occidente, vengono quindi idealizzati, anche se le loro politiche scientifiche sono in realtà in contraddizione con le posizioni antiscientifiche della destra occidentale.

Una visione selettiva della scienza

Infine, è importante notare che i movimenti di destra non rifiutano tutta la scienza, ma solo quella che percepiscono come contraria ai loro interessi. Ad esempio, accettano senza riserve le tecnologie militari avanzate o i progressi economici, ma rifiutano la scienza climatica o medica quando questa impone cambiamenti sociali o comportamentali.

Una crisi come fu per l’impero Romano?

L’America affronta una crisi sistemica che ricorda quella dell’Impero Romano nei suoi ultimi secoli. Divisioni interne, perdita di fiducia nelle istituzioni, diseguaglianze crescenti e una chiusura culturale verso l’esterno stanno minando le fondamenta di una nazione che un tempo era sinonimo di innovazione e apertura.

Come Roma, gli Stati Uniti sembrano incapaci di adattarsi ai cambiamenti globali, bloccati da conflitti interni e da una visione nostalgica di un passato idealizzato. Se Roma perse la sua centralità smarrendo la capacità di integrare nuovi popoli e idee, l’America rischia lo stesso declino, tradendo quei principi – accoglienza, scienza e innovazione – che l’avevano resa un faro per il mondo. La lezione della storia è chiara: chi non evolve, perisce.

L’America ha vinto l’ultima grande guerra mondiale grazie a una combinazione di fattori unici: l’accoglienza di immigrati talentuosi, spesso fuggiti da regimi oppressivi, e la fiducia nella scienza come motore di progresso e innovazione. Fu questa apertura che permise agli Stati Uniti di costruire una leadership tecnologica, economica e culturale senza precedenti.

Oggi, però, quell’America non esiste più. La retorica nazionalista, il rifiuto della scienza e la chiusura verso l’immigrazione stanno trasformando il paese. La perdita di questi valori fondamentali rischia di erodere il potenziale che aveva reso l’America un faro per il mondo. La storia insegna che il progresso non è mai garantito; è una scelta continua.

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