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Resilienza: un termine abusato e sopravvalutato

“Un essere umano deve essere in grado di cambiare un pannolino, pianificare un’invasione, macellare un maiale, guidare una nave, progettare un edificio, scrivere un sonetto, tenere la contabilità, costruire un muro, aggiustare un osso rotto, confortare i moribondi, prendere ordini, dare ordini, collaborare, agire da solo, risolvere equazioni, analizzare un problema nuovo, raccogliere il letame, programmare un computer, cucinare un pasto saporito, battersi con efficienza, morire valorosamente.  
La specializzazione va bene per gli insetti.”    – Lazarus Long, l’immortale  – Robert Heinlein

 

Negli ultimi anni, il termine “resilienza” è diventato una parola d’ordine, presente in discorsi politici, conferenze aziendali, e persino nelle conversazioni quotidiane. Sembra che tutti la usino e la elogino come una qualità essenziale per affrontare le sfide della vita moderna. Ma è davvero così? O forse il concetto di resilienza è diventato un mito che rischia di mascherare problemi più profondi?

Le Radici della Resilienza

Il termine “resilienza” proviene dal campo della fisica, dove descrive la capacità di un materiale di assorbire energia durante una deformazione elastica e di ritornare alla sua forma originale. Materiali come la gomma e la plastica sono considerati resilienti perché possono essere piegati, schiacciati o stirati senza rompersi. Negli ultimi decenni, questo concetto è stato traslato al comportamento umano, suggerendo che le persone dovrebbero essere in grado di “rimbalzare indietro” dopo aver affrontato avversità.

Ma è davvero appropriato applicare un concetto fisico così meccanico agli esseri umani? Diversi studi e critici hanno cominciato a mettere in discussione la validità e l’utilità del concetto di resilienza. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista “Journal of Humanistic Psychology”, la retorica della resilienza può diventare dannosa perché tende a responsabilizzare l’individuo per problemi che sono in realtà sistemici. Questo approccio può portare a una mentalità in cui si colpevolizzano le vittime di circostanze avverse per non essere abbastanza “resilienti”.

La mitologia della resilienza nel Lavoro

Nel contesto lavorativo, la resilienza è diventata una qualità richiesta e lodata. Le aziende cercano dipendenti che possano affrontare stress e pressioni senza crollare. Ma questo spesso si traduce in un’aspettativa di sopportare carichi di lavoro eccessivi e condizioni non salutari senza lamentarsi. Come sottolinea un articolo su “Harvard Business Review”, questa pressione per essere resilienti può portare a burnout e problemi di salute mentale. L’idea che i dipendenti debbano semplicemente adattarsi e “rimbalzare indietro” ignora la necessità di creare ambienti di lavoro più sani e supportivi.

Resilienza e società

La resilienza non è solo un concetto individuale; viene spesso applicata anche a livello sociale. Comunità intere sono incoraggiate a essere resilienti di fronte a disastri naturali, crisi economiche o conflitti politici. Tuttavia, questa enfasi sulla resilienza può mascherare l’inefficienza o l’assenza di interventi governativi adeguati. Come sottolineato in un rapporto dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), mentre la resilienza delle comunità è importante, è fondamentale che vi sia un supporto istituzionale forte per garantire la ripresa e la sostenibilità a lungo termine.

L’importanza del cambiamento sistemico

Invece di concentrare tutti i nostri sforzi sulla promozione della resilienza individuale, dovremmo guardare ai cambiamenti sistemici necessari per migliorare la nostra società. Questo include politiche che affrontino la disuguaglianza economica, migliorino le condizioni di lavoro e forniscano supporto psicologico a chi ne ha bisogno. La resilienza può essere una qualità ammirevole, ma non dovrebbe essere l’unico obiettivo. Come afferma la psicologa e autrice Susan David nel suo libro “Emotional Agility”, è fondamentale accettare e lavorare attraverso le emozioni difficili, piuttosto che cercare di “rimbalzare indietro” in modo meccanico.

La resilienza, pur essendo un concetto utile in certe situazioni, non dovrebbe essere vista come una panacea per tutti i mali. È importante riconoscere i suoi limiti e i rischi di utilizzarla come soluzione universale. Gli esseri umani sono complessi e le loro risposte alle avversità non possono essere ridotte a una semplice capacità di “rimbalzare indietro”. Dobbiamo lavorare per creare società e ambienti di lavoro che non solo promuovano la resilienza, ma che siano anche giusti, equi e supportivi per tutti.