Le nuove idee se non provengono da ambienti qualificati come università e centri di ricerca, molto spesso sono accolte con scetticismo e indifferenza fino a che qualcosa di eccezionale accade facendo cambiare opinione. Questo è il caso della “Bridge theory” o teoria ponte, sviluppata da Massimo Auci con il solo scopo di raggiungere un’unica teoria unificatrice chiara e coerente.
Il metodo Scientifico in Fisica e l’importanza della Ricerca
Richard Feynman diceva che studiare le leggi della fisica è un po’ come guardare una partita di scacchi di cui non si conoscono le regole. Osservando i due giocatori muovere soltanto i pedoni, si potrebbe essere portati a concludere che la regola, l’unica regola che dirige i movimenti dei pezzi della scacchiera sia quella dello spostamento in avanti di una casella. Continueremo a pensarla così, finché non vedremo un pedone spostarsi in diagonale per mangiare il secondo pedone. Da quell’osservazione concludiamo che i pedoni possono spostarsi in diagonale solo per mangiare altri pedoni. Questa sarà la nostra nuova regola. Capiremo poi che le regole sono più complicate, perché il cavallo può muoversi a “elle” e la regina può spostarsi sia lungo linee verticali che orizzontali. Dalla nostra ignoranza giungiamo, attraverso successivi livelli di certezza, ad una conoscenza globale del fenomeno. Dopo aver visto un numero infinito di partite, conosceremo tutte le regole e tutte le strategie degli scacchi
Secondo Feynman imparare a giocare a scacchi osservando i giocatori è del tutto simile al metodo scientifico. Ad un’osservazione segue la postulazione di una teoria che giustifica l’osservazione stessa. Ogni teoria ha un certo potere predittivo, vale a dire può essere utilizzata per prevedere quantitativamente più fenomeni. Ad esempio, con la teoria della gravitazione di Newton si può calcolare il periodo e la forma delle orbite, così come si può calcolare la velocità di impatto di una mela sulla testa di Newton stesso. Se Newton avesse formulato una teoria diversa, capace di prevedere unicamente la velocità di atterraggio di un unico specifico tipo di mela presente su un determinato albero ad una precisa latitudine e longitudine, sarebbe stata una teoria molto fiacca, poco applicabile e non avrebbe evitato la caduta della mela sulla sua testa.
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Un altro ingrediente importante delle teorie fisiche è che sono “compartimentate”. La teoria che descrive le particelle piccole (chiamiamola meccanica quantistica) non è la stessa teoria che descrive le particelle grandi a velocità basse (chiamiamola meccanica classica) che non è la stessa che descrive le particelle grandi che si muovono a velocità vicine a quella della luce (chiamiamola relatività speciale o ristretta). Questa compartimentazione è necessaria, perché studiare questi fenomeni è difficile e quindi bisogna cercare di inventarsi degli strumenti adatti a ciascuna situazione. La cosa importante è che queste teorie non siano in contraddizione tra loro.
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Se pensiamo ad ogni teoria come a un’isola in un mare caraibico, tra le varie isole per potersi muovere in libertà ci dovrebbero esserci dei ponti in grado di collegarle. Per molti anni la meccanica quantistica e la relatività non hanno avuto questo ponte. Solo grazie al lavoro di molti scienziati del secolo scorso tra cui Paul Dirac, e lo stesso Richard Feynman, è stato possibile unirle in un’unica teoria, l’elettrodinamica quantistica il cui acronimo è QED (Quantum Electrodynamics) di clamoroso successo predittivo sperimentale. Una sorte ben diversa si ha per il ponte tra meccanica quantistica e teoria della gravità descritta dalla relatività generale di Einstein, un ponte che non esiste ancora, o meglio, esisterebbe se non avesse al momento delle fondamenta ancora traballanti
L’Intervista al fisico Massimo Auci
Alla fine degli anni 70’, quando il Prof, Auci ha iniziato a lavorare alla propria teoria era ancora uno studente di Fisica, l’idea iniziale fu di tentare di costruire una teoria che fosse in grado di trovare una base comune tra elettromagnetismo maxwelliano e meccanica quantistica e in seguito, raggiunto l’obiettivo, utilizzare quel ponte per collegare le teorie già esistenti fra loro senza cadere in contraddizione.
Il lavoro del prof. Auci ha una invidiabile ambizione unificatrice. La sua teoria è stata per questo battezzata “Bridge theory” ed è una teoria ponte a tutti gli effetti, in quanto ha la camaleontica capacità di adattarsi ai “microclimi” delle diverse isole delle teorie fisiche.
Ho avuto recentemente la possibilità di intervistare Massimo Auci sul suo lavoro di ricerca, riporto qui i punti salienti dell’intervista.
Professore, prima di tutto vorrei chiederle cos’è di preciso la Bridge theory?
“La Bridge theory è essenzialmente un ponte tra Elettromagnetismo e Meccanica Quantistica costruito a partire dal fenomeno fisico che determina il quanto di energia, quello che chiamiamo fotone. Partendo da una intuizione molto primitiva sono riuscito dopo anni a determinare il complesso fenomeno che trasforma l’interazione elettromagnetica di una coppia di cariche elettriche in movimento, quello che chiamiamo dipolo elettromagnetico, in un quanto di energia, avendo così la possibilità di calcolare teoricamente la costante di Planck che lega l’energia del fotone con la frequenza della perturbazione elettromagnetica, e cosa ben più importante, è stato possibile determinare teoricamente la costante di struttura fine detta anche costante di Sommerfeld, il cui valore e la sua variabilità sono fondamentali per tutta la fisica moderna. Direi cha la costante di Sommerfeld è la chiave di volta del nostro mondo. Ottenuto quel risultato e apprese le regole del gioco, si è trattato di spiegare dal punto di vista elettromagnetico i tipici fenomeni quantomeccanici come: il comportamento ondulatorio della materia, simile alla teoria dell’onda pilota di Louis de Broglie, il principio di indeterminazione di Heisenberg, lo spin delle particelle e molto altro ancora, tutti fenomeni fino a quel momento slegati dall’elettromagnetismo classico. Da lì si è trattato poi di costruire un ponte con la Relatività speciale e poi con la Relatività generale. In questo caso la costruzione del “ponte” ha reso necessario lo sviluppo di un nuovo modello cosmologico con un particolare comportamento, dove la grandezza quantizzata non è direttamente la gravità ma lo spazio-tempo della bolla elettromagnetica, quello che noi chiamiamo universo, nella quale la gravità ha origine per conservazione dell’energia totale disponibile. Una specie di universo a bolle che si chiama però “multi-Bubble Universe”. Per quest’ultimo, pur essendoci accordo tra teoria e molte evidenze sperimentali e osservative, entrando nel campo della cosmologia sperimentale, si deve attendere che le osservazioni confermino o meno le predizioni teoriche”.
La Bridge theory è quindi una teoria che a partire dalla descrizione di un dipolo elettromagnetico, spiega i fondamenti della quantizzazione, il legame tra elettromagnetismo, meccanica quantistica e relatività speciale, una teoria che nella sua vastità e complessità si spinge ai confini estremi della relatività generale quantizzandone lo spazio-tempo, un fenomeno importante da studiare e approfondire. Il tutto ottenuto a partire dalla descrizione di un’interazione di dipolo secondo le leggi dell’elettromagnetismo classico maxwelliano.
Professore se pensiamo al principio di indeterminazione di Heisenberg, ho qualche dubbio sul fatto che la Bridge theory possa essere effettivamente ritenuta una teoria quantistica, in quanto si basa unicamente su una teoria classica come l’elettromagnetismo, lei cosa ne pensa?
“Per rispondere alla sua domanda, cambierei il punto di vista, cosa c’è di fenomenologia elettromagnetica nel principio di indeterminazione di Heisenberg? Come ho potuto dimostrare nei miei lavori, tutto. Cosa c’è di quantistico nell’elettromagnetismo? Nulla. Perciò la Bridge Theory non è una teoria quantistica ma permette di dare una spiegazione ai fenomeni quantistici e anche relativistici.”
È senz’altro plausibile, dato che sia l’elettromagnetismo classico che la meccanica quantistica sono teorie ondulatorie. La meccanica quantistica associa in accordo con il dualismo un’onda ad una particella e l’elettromagnetismo delle equazioni di Maxwell ammette delle soluzioni ondulatorie che descrivono la propagazione di campi elettrici e magnetici. Non sorprende quindi, che il prof Auci sia riuscito a ricavare una formulazione analoga del principio di indeterminazione utilizzando esclusivamente principi di elettromagnetismo classico. Quel che sorprende è la comparsa in elettromagnetismo della costante di Planck.
Il grande successo della Bridge theory è infatti quello di poter dare una valutazione teorica indipendente della costante di struttura fine di Sommerfeld dalla quale dipende il valore della costante di Planck, senza dover ricorrere a misure sperimentali. Ossia, il Prof. Auci pone l’attenzione sul fatto che la costante di struttura fine piova dall’alto dei cieli in QED.
Secondo lei perché la QED non va bene così com’è? In fisica sperimentale ci sono prove importanti sulla sua capacità predittiva.
“Certo, la QED è una teoria perfetta in termini predittivi e va bene così com’è ma a mio parere se si vuole migliorare occorre accettare che ha una lacuna. Prima ricordiamo che si basa non sulla meccanica quantistica tradizionale, quella sviluppata secondo l’interpretazione di Copenaghen, quella di Heisenberg, Schrödinger, Bohr ed altri, ma sulla meccanica quantistica relativistica di Feynman sviluppata a partire da quella di de Broglie – Bohm, una meccanica alquanto differente, soprattutto nell’interpretazione ondulatoria tradizionale.
In un certo senso la QED può essere considerata l’evoluzione della teoria stocastica quantistica sviluppata da Jean Pierre Vigier, una teoria che si basa proprio su quella di de Broglie – Bohm, tra l’altro, Vigier è stato nel 1989 editor dei miei primi tre articoli sulla costante di struttura fine e devo ringraziarlo, perché fu lui, nonostante non tutti i pareri favorevoli a deciderne la pubblicazione, conservo ancora la sua lettera autografa.
Comunque, a partire dall’interpretazione di Copenaghen la QED non avrebbe mai potuto essere sviluppata perché incompatibile con la relatività speciale, ci voleva una teoria che reintroducesse il determinismo delle traiettorie delle particelle oltre alla stocasticità dei percorsi per poter arrivare ad una teoria relativistica come la QED. Lo stesso Feynman nell’introduzione del suo libro “QED” si esprime dicendo “… while I am describing to you how Nature works, you won’t understand why Nature works that way. But you see, nobody understands that. I can’t explain why Nature behaves in this peculiar way” (1], in effetti in QED non ci si chiede perché la Natura si comporta così o perché ha assegnato alla costante di struttura fine proprio quel valore e non altri, ma solo come si comporta, perciò porsi qualche domanda in più può fare solo bene.”
Il riuscire a calcolare questa grandezza senza ricorrere a misure sperimentali è certamente un risultato degno di nota, soprattutto per l’importanza che la costante di Sommerfeld ha nel mondo delle interazioni elementari nella fisica delle particelle, ma anche a livello cosmologico e nucleare per l’origine della materia.
Parlando delle prospettive future, quali sono i prossimi passi per la Bridge theory?
“Attualmente sto lavorando per applicare la Bridge theory all’interazione debole e all’interazione forte, spiegando l’origine del frazionamento di carica elementare e del Modello Standard della materia. Il mio obiettivo, oltre all’unificazione delle forze, è tentare di capire perché l’universo è così asimmetrico, cioè perché l’universo è fatto di materia e non di antimateria. Direi che ci sono in gran parte riuscito, i risultati delle masse dei quark stimate teoricamente sono molto buoni e in pieno accordo con i dati sperimentali ma ancora non ho finito e i risultati attualmente ottenuti sono ancora top-secret. Inoltre, è in peer-review per la pubblicazione su una rivista internazionale molto importante un lavoro che applica la Bridge theory al modello atomico. Il lavoro iniziale, quello sviluppato per il meccanismo di formazione dell’atomo di idrogeno è già stato pubblicato nel 2021 ed è stato un punto di svolta per far emergere la Bridge theory, mentre, spero a breve, possa uscire quello sul comportamento emissivo degli atomi idrogenoidi di origine cosmologica, come l’idrogeno, il deuterio, l’elio, il litio.”
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Teorie fisiche e autorevolezza scientifica
Purtroppo, la storia della fisica ha sofferto in passato dell’influsso negativo del “principio di autorevolezza”, secondo il quale il parere dell’accademico più affermato vince sul parere del ricercatore con meno esperienza.
A volte questo non crea problemi, in quanto è probabile che l’accademico affermato, in base alla sua esperienza di gran lunga superiore a quella del ricercatore appena arrivato, abbia effettivamente ragione. Tuttavia, l’essere degli esperti non equivale in alcun modo ad aver sempre ragione.
Einstein non credeva nella meccanica quantistica, pur avendo dato dei contributi fondamentali nella fisica delle particelle. Questi sono oggi settori di ricerca che hanno avuto una crescita incredibile e hanno continuamente conferme sperimentali. La scienza è in un certo senso l’arte di dubitare degli esperti.
Se è vero che sappiamo molto dell’universo che ci circonda, è anche vero che quello che non sappiamo è infinitamente di più. Pertanto, il mettere in discussione gli assunti di base è un toccasana per la sanità delle fondamenta della nostra conoscenza.
Il provare a dare delle spiegazioni all’origine della quantizzazione in meccanica quantistica e alle costanti fondamentali delle teorie che governano l’universo è sicuramente interessante e meriterebbe qualche attenzione in più dalla comunità scientifica.
È importante prendere atto che la scienza non è una gara di supremazia intellettuale come purtroppo a volte viene interpretata dagli stessi scienziati, ma una piattaforma di gioco in cui anche gli errori possono essere importantissimi per imparare qualcosa.
Il fascino del complotto
Non bisogna però cadere in tentazione e inneggiare all’ostracismo scientifico. Infatti quello del ricercatore e dello scienziato è un mestiere puro e semplice. È vero che il prodotto della ricerca è un tassello in più al puzzle della conoscenza, una spinta al progresso scientifico e tecnologico e che la curiosità e una delle forme di massima purezza dell’animo umano, ma è anche vero che lo scienziato deve pagare la spesa, l’affitto e le bollette. Quindi sotto certi aspetti la scienza è un business. Un business onesto, perché ogni risultato ottenuto viene controllato più volte e ogni pubblicazione sottoposta ad un lungo e complesso processo di peer-review per eliminare nei limiti del possibile gli errori fatti in buona fede, evitando così di propagandare “risultati errati” come “nuovo sapere”, ma è comunque un business. Questo vuol dire che, se una teoria è solida, è improbabile, anche se non impossibile, che venga messa da parte, in quanto quel sapere potrebbe giovare a tutti. Quanti sono i ricercatori che hanno costruito carriere accademiche “sulle spalle dei giganti”? Tanti. Tantissimi. Quasi tutti, tranne i giganti che si costruiscono da soli.
In questo contesto, la Bridge theory potrebbe offrire possibilità di “lavoro” smisurate. Pensiamo a quante cose potrebbero essere riviste sotto una nuova luce o ricalcolate nel contesto di una nuova teoria in grado di riunire tutte le teorie attuali senza mai cadere in contraddizione. I tassi di decadimento delle particelle instabili, il confinamento e la libertà asintotica dei quark, l’esistenza del bosone di Higgs etc. Ci sarebbero certamente migliaia di articoli su questi argomenti e moltissimi ricercatori ne potrebbero trarre una carriera brillante. Per ora questo non è successo e la Bridge theory resta in un limbo speculativo.
NOTA
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[1]
“… mentre vi descrivo come funziona la Natura, non capirete perché la Natura funziona in questo modo. Ma vedete, nessuno lo capisce. Non riesco a spiegare perché la Natura si comporti in questo modo peculiare.”
Per approfondire: https://arxiv.org/search/?searchtype=author&query=Auci%2C+M
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