Il cambiamento climatico è sicuramente tra i problemi e le sfide più importanti del prossimo futuro. Un aumento, piccolo ma significativo, della temperatura terreste comporterebbe gravi squilibri nell’ecosistema, mettendo a repentaglio la sopravvivenza di specie animali, e molti problemi per l’uomo, come l’innalzamento del livello del mare con tutto ciò che ne deriverebbe come un effetto domino (se non la recente notizia che il 74% della popolazione a fine secolo sarà esposta ad un caldo potenzialmente letale).
L’emissione di gas serra da parte dell’uomo contribuisce fortemente al riscaldamento globale. Tuttavia per quantificarne gli effetti si studia la temperatura degli oceani; è negli oceani infatti che l’eccesso di temperatura si manifesta. Ecco quindi che disseminando sensori negli oceani è possibile studiare come varia, nel tempo, la temperatura a differenti profondità e aree geografiche; è importante che le misurazioni avvengano in un ampio intervallo temporale così da poterne studiare l’evoluzione e vederne la tendenza.
Nella pratica è perciò essenziale che non ci siano variazioni nella strumentazione adoperata e nella presa dati affinché le misure siano coerenti e non diano falsi risultati; un’ulteriore fonte di incertezza è data dalla locazione dei sensori che, non potendo coprire uniformemente tutti gli oceani, sono posizionati a volte lungo tratte mercantili e a volte in aree non percorse. Tenendo conto di tutto ciò un recente articolo uscito su Climate Dynamics conferma, senza alcun dubbio, che l’oceano si sta riscaldando velocemente; tale conferma è stata ottenuta da tre gruppi differenti che, usando metodologie e approcci differenti, sono giunti alle medesime conclusioni. Di questo mese anche un articolo pubblicato su Journal of Climate in cui si mostra come la parte bassa dell’atmosfera si sia riscaldata, dal 1978, più velocemente di quanto gli scienziati credessero; lo studio è basato sui dati acquisiti dai satelliti del Remote Sensing System (RSS) che, dopo esser stati rivisti e corretti, indicano come la velocità del riscaldamento sia aumentata dal 1979 del 36% e del 140% dal 1998.
È quindi un’ulteriore segnale di allarme che si inquadra in un contesto in cui gli Stati Uniti, che sono tra i maggiori emettitori di gas serra, stanno prendendo le distanze dal fondamentale Accordo di Parigi, fortemente voluto dall’amministrazione Obama; un impegno preso dalle maggiori nazioni del mondo per contenere l’emissione di CO2 nell’atmosfera.
A preoccupare è anche lo scetticismo, se non il negazionismo vero e proprio, riguardo al riscaldamento globale all’interno dell’amministrazione Trump; lo stesso Trump nel 2012 scrisse su Twitter :
The concept of global warming was created by and for the Chinese in order to make U.S. manufacturing non-competitive.
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 6 novembre 2012
e nel gennaio scorso vietò a diverse agenzie, tra cui l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente (EPA) che si occupa anche di studiare il cambiamento climatico, di comunicare col pubblico.
Studi di questo genere rimangono fondamentali per monitorare e studiare l’evoluzione del riscaldamento globale.