Nella distribuzione gratuita, e pubblica, del Notiziario della Pia Congregazione dei Banchieri, Negozianti e Mercanti (APS) di Torino trasmessa nel mese di dicembre si leggono alcune lettere (VEDI NELLE NOTE) del matematico e astronomo Giovanni Antonio Amedeo Plana (1781–1864) indirizzate al professor G. F. Baruffi, pubblicate nel marzo-aprile 1840 sulle “Letture Popolari” e sul “Messaggiere Torinese”. Queste lettere costituiscono un interessante spaccato sul dibattito ottocentesco riguardante la cronologia, l’inizio dell’Era Cristiana e i metodi per fissare in modo coerente il computo degli anni.
Ho pensato dunque di illustrare in maniera più divulgativa possibile la narrativa di tali epistolari, che costituiscono uno spaccato della scienza piemontese del 1800. Ma per chi avesse poco tempo una mia versione semplificata dell’articolo è qui.
Il contesto storico e culturale
Le lettere del Commendatore Plana, astronomo, geodeta e senatore italiano, datate marzo 1840 si inseriscono in un periodo di intensi dibattiti non solo politici e sociali, ma anche culturali e scientifici. Il Piemonte, in quegli anni, viveva una fase di transizione: l’università, le accademie e le pubblicazioni periodiche stavano diventando luoghi di vivace confronto intellettuale. La presenza a Torino di importanti istituzioni come l’Università e l’Accademia delle Scienze, di cui Plana fu eminente membro e poi presidente perpetuo, favoriva la diffusione della conoscenza e la discussione, spesso pubblica, su temi apparentemente specialistici, come appunto la “calendarografia”.
Nell’Ottocento la datazione dei fatti storici e lo studio delle cronologie antiche e moderne erano argomenti non meramente eruditi, ma anche connessi al più ampio progetto di comprensione del passato dell’umanità.
Questo sforzo era in parte motivato dalla nascente ricerca storiografica, dalle prime forme di archeologia scientifica, dal tentativo di riordinare con rigore l’immensa massa di informazioni provenienti da fonti antiche, medievali e moderne.
Le questioni cronologiche assumevano dunque una dimensione teorica e pratica allo stesso tempo, coinvolgendo studiosi di storia, astronomia, matematica e filologia.
In questo clima, le lettere di Plana e il suo scambio con il professor Baruffi, poi esteso al pubblico tramite le “Letture Popolari” e il “Messaggiere Torinese”, testimoniano l’importanza che anche la “pubblica opinione colta” attribuiva a questioni come l’origine e il computo dell’Era Cristiana.
La scelta di pubblicare queste dissertazioni su periodici di divulgazione mostra il desiderio di diffondere e chiarire concetti di non facile comprensione a un più ampio uditorio.
Chi era Giovanni Antonio Amedeo Plana
Giovanni Antonio Amedeo Plana (1781–1864), presidente dell’Accademia delle Scienze di Torino, socio dell’Accademia dei XL, dell’Académie des Sciences di Parigi e delle Royal Society di Londra (dal 1827) e Edimburgo (dal 1835) pubblicò opere che spaziano dalla meccanica celeste alla matematica pura. Fu il fondatore dell’osservatorio astronomico di Torino (che prima di lui era solo un’estensione della cattedra di astronomia). Fu tra i vincitori di un premio indetto dall’Accademia francese delle scienze per la costruzione di tabelle lunari basate esclusivamente sulla legge di gravitazione universale. Tra i suoi riconoscimenti vi è la pubblicazione di importanti lavori sulla teoria del moto della Luna e sull’analisi matematica delle orbite celesti. Insegnò astronomia all’Università degli Studi di Torino, ricevendo la cattedra che era stata tenuta da Tommaso Valperga. Insegnò per molti anni, anche Meccanica agli Ufficiali Allievi della Scuola di Applicazione di Torino.
Il suo interesse per la cronologia e per i calcoli calendariali non era casuale: per un astronomo del suo calibro, comprendere la misura del tempo e la storia dei calendari costituiva una parte essenziale del lavoro scientifico, soprattutto in considerazione dei calcoli relativi ai fenomeni celesti storicizzati. D’altronde, la precisione richiesta nelle effemeridi e nelle previsioni astronomiche presuppone una base cronologica esatta. Inoltre, Plana era un fine erudito, capace di muoversi fra le fonti classiche, la tradizione cristiana, la filologia, la storia e la scienza, comprendendo quanto fosse fondamentale stabilire un quadro chiaro delle epoche e dei sistemi di datazione.
Il tema principale: la definizione dell’inizio dell’Era Cristiana
Le lettere di Plana affrontano, come tema centrale, l’annosa questione del cosiddetto “anno zero” nell’ambito dell’Era Cristiana. La cronologia comunemente in uso – quella segnata dalla distinzione tra a.C. (avanti Cristo) e d.C. (dopo Cristo) – presenta un problema noto: non è stato introdotto, all’atto della definizione cronologica, un “anno zero”. Si passa, in altre parole, dall’1 a.C. all’1 d.C. senza una tappa intermedia. Questo crea una serie di difficoltà quando si tenti di ricondurre conteggi retrospettivi su linee temporali coerenti, soprattutto se si cerca di armonizzare il computo cristiano con l’Era Romana o con altre cronologie antiche.
Plana sottolinea questa circostanza, evidenziando come la mancanza di un anno zero sia all’origine di molte controversie.
L’origine dell’Era Cristiana, fissata in base a calcoli successivi operati da Dionigi il Piccolo nel VI secolo, non era in origine così netta e inequivocabile come si potrebbe pensare. La scelta di far iniziare l’Era Cristiana (Anno Domini) con la nascita di Cristo fu un atto convenzionale, stabilito secoli dopo l’evento stesso, e ricavato da combinazioni di fonti storiche, tradizioni e calcoli non sempre lineari.
Le lettere discutono questi aspetti in maniera vivace, con Plana intento ad analizzare le proposte di vari cronologisti. Alcuni, per risolvere il problema, hanno immaginato, se non formalmente un “anno zero”, almeno un punto intermedio. Plana mostra come l’Era Cristiana in realtà parta da una convenzione che colloca la nascita di Cristo nell’anno 754 di Roma (ovvero 754 ab Urbe condita, A.U.C.), benché questa datazione sia tutt’altro che certissima. Alcuni studiosi antichi e moderni hanno proposto variazioni: c’è chi sosteneva la datazione al 748 o al 749 di Roma, o altre lievi differenze, così come c’è chi ha ragionato sulla mancanza di un anno zero chiedendosi se non fosse stato necessario inserire un anno intercalare.
Un dibattito tecnico: l’anno 754 di Roma e l’inizio dell’era cristiana
Un punto su cui Plana si sofferma è la questione dell’anno 754 di Roma, convenzionalmente preso come anno della Nascita di Cristo, ma che risulta problematico. Se si considera l’Anno Domini 1 come successivo immediatamente all’1 a.C., e se l’1 a.C. sarebbe corrispondente a un determinato anno “ab Urbe condita”, risulta difficile giungere a un consenso sul raccordo esatto. È qui che la riflessione di Plana diventa più raffinata.
L’astronomo torinese segnala che, secondo le fonti e le opinioni più accreditate tra i cronologisti, l’era cristiana decorre dal principio dell’anno 754 di Roma (come ipotesi più diffusa). Ma questo non è affatto un dato pacifico: si tratta di una convenzione accettata per necessità pratica, pur mancando di una base storiografica totalmente solida.
.
Plana mostra, con logica stringente, che se si adotta una certa regola di conteggio, ci si ritrova di fronte a un “salto” nella numerazione, con tutte le conseguenze sul calcolo delle epoche, degli anni secolari e delle ricorrenze. Il dialogo epistolare e i commenti successivi sulle “Letture Popolari” rivelano come il pubblico, anche di non specialisti, fosse interessato a capire le radici di un sistema cronologico che permeava la vita quotidiana, la liturgia, la storiografia e la ricerca storica.
Il ruolo delle “Letture Popolari” e del “Messaggiere Torinese”
La pubblicazione di queste lettere e dei successivi commenti non avviene su riviste accademiche di pura erudizione, ma su periodici destinati a un pubblico più ampio. Le “Letture Popolari” erano un settimanale fondato nel 1836, inizialmente dedicato a una divulgazione colta ma accessibile, mentre il “Messaggiere Torinese” era uno strumento di informazione economico-finanziaria e di cultura generale, in quell’epoca di grande fermento informativo.
Il fatto che Plana e Baruffi scelgano questi canali per diffondere e discutere simili argomenti indica almeno due cose: da un lato, la questione cronologica non era relegata a un ristretto ambito di studiosi, ma sollecitava l’interesse di un pubblico di lettori sufficientemente istruiti e curiosi. Dall’altro lato, era forse intenzione di Plana rivendicare il ruolo della scienza – anche quella apparentemente astratta, come la matematica e l’astronomia – nel gettare luce su problemi storici e filologici, mostrando la contaminazione proficua fra discipline diverse.
Non bisogna dimenticare che l’Ottocento fu il secolo in cui la divulgazione scientifica andava sempre più diffondendosi. Le riviste “popolari” in ambito culturale, a cui collaboravano scienziati, letterati e intellettuali, costituivano un prezioso canale di trasmissione del sapere. Il caso di Plana ne è un esempio lampante: egli non scrive solo per gli addetti ai lavori, ma dialoga con un pubblico più esteso, confidando nella possibilità di rendere comprensibili questioni complesse come quelle cronologiche.
La posta in gioco: chiarire o riformare il sistema cronologico?
Dalle lettere emerge una tensione intellettuale tra due possibili strade. La prima è l’intento di Plana di chiarire, storicizzare e rendere intellegibile la genesi del sistema cronologico cristiano così com’è, senza pretendere di riformarlo. La seconda, più sotterranea, è la tentazione di rivedere alla radice il computo, magari introducendo una convenzione moderna che preveda un anno zero o un altro criterio che superi le antiche incongruenze. Tuttavia, Plana sembra più orientato a offrire spiegazioni che a proporre rivoluzioni. Si limita a mettere in luce le debolezze del sistema di datazione corrente, a mostrare le sue origini storiche imprecise e il carattere convenzionale di certi punti fermi, piuttosto che a proporre una radicale riforma del calendario.
In un passo significativo, Plana considera come i cronologisti del Settecento e del Settecentocinquanta (il riferimento è, presumibilmente, ai secoli in cui si formarono le consuetudini moderne nel calcolo delle ere) abbiano cercato di risolvere queste discrepanze. Egli cita l’esistenza di diverse ipotesi, alcuni tentativi di datare in modo diverso, ma sembra concludere che lo stato dell’arte rimane quello di una convenzione imperfetta, a cui ci si deve attenere per comprendersi a vicenda. La scienza, in un certo senso, prende atto del carattere storico e non perfettamente razionale dei sistemi cronologici.
La rilevanza scientifica e culturale del dibattito
Perché dedicare tante energie a un problema che, a prima vista, sembra puramente di erudizione storica? La ragione è che la cronologia, per uno studioso dell’Ottocento come Plana, non era mai un semplice orpello. La determinazione esatta delle date antiche aveva ricadute importanti. Ad esempio, nelle scienze astronomiche del tempo, comprendere quando esattamente si fossero verificate eclissi menzionate dagli storici antichi era fondamentale per calibrare i calcoli astronomici e verificare ipotesi su costanti astronomiche, sulla stabilità delle orbite, sulla precessione degli equinozi e su altri fenomeni celesti.
Inoltre, la fissazione dell’anno d’inizio dell’Era Cristiana influiva su tutta la periodizzazione storica: datare con precisione eventi della storia antica e medievale, confrontando fonti cristiane e pagane, richiedeva un quadro cronologico solido. Un errore o un’ambiguità nella definizione dell’origine dell’Era Cristiana poteva trascinarsi nella lettura di secoli di storia. Da qui il valore di queste discussioni. Esse gettavano luce non solo sul passato, ma anche sulla metodologia storica e sulla prassi scientifica della storia, a un secolo dall’emergere della critica storiografica moderna.
La natura “popolare” della sede di pubblicazione, tuttavia, non deve far pensare a una banalizzazione del tema. Plana fa riferimento a fonti, a cronologisti, a questioni di filologia e astronomia antica, rendendo ben chiaro che la complessità del tema non si riduce facilmente a slogan. Al contrario, la sua paziente argomentazione punta proprio ad istruire il lettore e a dimostrare quanto il problema sia intricato.
Le risposte e le reazioni: il ruolo di Baruffi
Le lettere sono indirizzate al professor G. F. Baruffi, figura di spicco a Torino in campo educativo e culturale. Baruffi, abate e docente universitario, si era distinto come autore di saggi di divulgazione, contribuendo a rendere accessibili al grande pubblico temi fino ad allora riservati all’élite accademica.
Non è chiaro quanto Baruffi fosse esperto di questioni cronologiche, ma sicuramente rappresentava un interlocutore valido, attento e interessato a chiarire dubbi.
Le pubblicazioni delle lettere e i post scriptum indicano che il dibattito non rimase confinato a un rapporto epistolare privato, ma si estese a lettori, cultori della materia e altri intellettuali, spingendo così Plana a precisare, chiarire, approfondire ulteriormente.
Il fatto che Baruffi non rispondesse in forma ufficiale, ma che si scatenassero opinioni e reazioni da parte di altri cultori, dimostra che la questione aveva “fatto centro” nell’interesse collettivo.
L’Era Cristiana e la sua relazione con altre ere: Roma, Giulio Cesare, Augusto
Un aspetto peculiare delle lettere è l’ampio ricorso a confronti con l’Era Romana, i calendari pre-cristiani e le riforme del calendario di Giulio Cesare e di Augusto. Plana non si limita a dire: “manca l’anno zero, ecco un problema”.
Al contrario, spiega come la nostra Era Cristiana si sovrapponga, con i secoli, a uno scenario cronologico preesistente, quello degli anni contati dalla fondazione di Roma. Il confronto fra l’Anno Domini e il computo ab Urbe condita serve a mettere in evidenza lo “scarto” creatosi nel passaggio da un sistema all’altro.
La riforma giuliana del calendario – che introdusse l’anno bisestile a intervalli regolari, stabilizzando il computo dei giorni solari – è un altro importante punto di riferimento. Senza questa riforma, il calcolo dei giorni e degli anni sarebbe stato ben più caotico.
Plana segnala che se si parte dal presupposto che l’anno della nascita di Cristo coincida con un anno ben preciso dell’Era Romana, allora si deve tenere conto di tutte le riforme e le modifiche calendarie succedutesi. Questo gioco di corrispondenze, aggiustamenti e correzioni storiche fa emergere la natura convenzionale e compromissoria dell’Era Cristiana.
Il valore delle lettere di Plana
A distanza di quasi due secoli, le lettere di Plana sulla calendarografia e sull’inizio dell’Era Cristiana offrono ancora un esempio eloquente di come il sapere scientifico, storico e filologico si intrecci. Ci mostrano un’epoca in cui non esistevano le specializzazioni disciplinari marcate di oggi e in cui un grande matematico e astronomo poteva, con disinvoltura, cimentarsi in questioni cronologiche e storiche, partecipando a un dibattito pubblico su tematiche apparentemente lontane dalla scienza astratta.
Il lettore moderno, abituato a considerare il calendario come un dato di fatto, potrebbe stupirsi di quanta riflessione e incertezza abbia accompagnato la definizione del nostro sistema di datazione. Le lettere di Plana ricordano che l’anno 1 d.C. è una convenzione, frutto di calcoli fatti secoli dopo l’evento supposto (la nascita di Cristo) e che l’assenza di un anno zero, l’incertezza su quale anno romano corrispondesse effettivamente a quello della nascita di Cristo, e i conseguenti dilemmi cronologici, non sono affatto questioni banali.
In un tempo in cui l’Europa si andava stabilizzando dopo i decenni turbolenti delle guerre napoleoniche e in cui le scienze stavano assumendo forme sempre più rigorose e specialistiche, Plana – dialogando con Baruffi e con il pubblico delle “Letture Popolari” – compie un atto di grande divulgazione scientifica e storica. Egli mostra come anche i fondamenti del nostro quotidiano, come la data in cui viviamo, possano essere oggetto di colte dispute, e come la ragione critica, l’esame delle fonti, e il dialogo fra scienza e storia possano aiutare a comprendere meglio la nostra cultura.
In definitiva, queste lettere non sono soltanto una curiosità erudita del passato. Sono un invito a riflettere sulla convenzionalità di molte coordinate temporali che diamo per scontate, e sul fatto che ogni sistema di misura del tempo nasce da un intreccio di esigenze storiche, politiche, religiose e scientifiche. La nitida prosa di Plana, il suo rigoroso argomentare e la sua cortesia nel confronto intellettuale con Baruffi e i lettori contemporanei lasciano intravedere il senso più profondo di questi documenti ottocenteschi: una lezione di metodo e di spirito critico, applicata a uno dei più universali tra i fenomeni umani, il tempo.
Concludendo: chi aveva ragione, Plana o i suoi contemporanei?
La questione dibattuta tra Plana e i suoi interlocutori riguardava l’esistenza o meno di un “anno zero” tra la fase finale degli anni conteggiati dalla fondazione di Roma e l’inizio dell’Era Cristiana. Storicamente, il sistema del calendario gregoriano (come anche quello giuliano che lo precedette) non contempla alcun “anno zero”: il conteggio passa direttamente dall’1 a.C. all’1 d.C.
Plana sosteneva che l’Era Cristiana avesse avuto inizio in corrispondenza con la fine dell’anno 753 dalla fondazione di Roma (data ritenuta come convenzionale per la Natività di Cristo), iniziando così a contare dal successivo anno 754 di Roma come primo anno dell’Era Cristiana. In questo modo, non era necessario introdurre un anno zero. Gli interlocutori che lo contraddicevano mettevano in dubbio questa convenzione e la coerenza del conteggio, ma la loro critica non portò a un’adozione generale dell’idea di un anno zero.
La posizione oggi universalmente accettata dalla storiografia e dalla cronologia moderna conferma che il sistema di conteggio degli anni non prevede affatto un anno zero. Si passa, insomma, dal 1 a.C. all’1 d.C. senza interposizione di uno zero. Da questo punto di vista, la prospettiva di Plana, ovvero l’assenza dell’anno zero, è risultata coerente con l’uso cronologico consolidato.
Bibliografia e fonti citate nel testo
- Lettere del Commendatore G. Plana al Professor G. F. Baruffi, pubblicate sulle “Letture Popolari” (marzo-aprile 1840) e sul “Messaggiere Torinese”.
- Cenni biografici su Giovanni Antonio Amedeo Plana e le sue opere, disponibili nelle biografie scientifiche ottocentesche e in studi moderni su Plana e l’Accademia delle Scienze di Torino.
- Studi sull’origine dell’Era Cristiana e sulla cronologia storica tardo-antica e medievale, inclusi i lavori su Dionigi il Piccolo e la datazione della nascita di Cristo.
- Testimonianze dell’epoca sulla ricezione e divulgazione delle questioni cronologiche in ambito pubblico, disponibili nelle raccolte di articoli e negli archivi delle riviste ottocentesche torinesi.
Con queste riflessioni, il lettore di oggi può meglio comprendere la natura di quelle lettere di Plana: un appassionato e fine esercizio di ragione storica, filologica e scientifica, rivolto a un pubblico ampio in un tempo in cui i giornali, i settimanali di divulgazione e le corrispondenze epistolari erano l’anima del dibattito intellettuale. Non va dimenticato infine che, pur trattandosi di questioni tecniche e apparentemente remote, esse manifestavano la volontà di rendere la scienza accessibile e di elevare il dibattito culturale, contribuendo a quella crescente alfabetizzazione scientifica che ha caratterizzato l’Ottocento italiano ed europeo.
NOTE
LETTURE POPOLARI N° 11 – 14 marzo 1840
SOVRA Un Punto importante di Calendargrafia popolare
Lettera del Chiarissimo signor Commendatore Plana al signor Professore G. F. Baruffi
Torino 1840, il 15 marzo.
Signor Abate mio carissimo,
Ripensando al quesito di cui ella mi parlava ieri sera, le darò una breve spiegazione, la quale salvando l’originale dell’ambiguità, metterà, spero, gli avversarii in perfetta armonia, e finirà col dare che abbia vinto egregiamente codeste fonti. Conviene premettere innanzi tutto che sono due momenti distinti: il principio dell’Era cristiana, e il primo Nascimento di Gesù Cristo. L’uno e l’altro ebbero luogo nell’istesso anno; ma il primo nell’epoca dell’Anno 754 di Roma, ed il secondo, al finire dell’anno 754 del medesimo. L’Era cristiana fu nascita nel primo giorno dell’Anno 754 ed era consuetudine che la nascita di Cristo avvenne in sul finir di questo stesso anno 754; se con ciò dimostro che nel 1° gennaio 754, fu il primo anno dell’Era cristiana, e simultaneamente con tale anno 755, cioè quello che cominciava con la Nascita del Salvatore. Con siffatta conseguenza si riceverà il numero 754 come quello che deve intendere il numero esprimente l’anno del nostro calendario cristiano; e soltanto 1839 anni e 70 giorni dalla Nascita di Cristo. Coloro i quali dunque qualifichano l’anno 1800 come espressione del secolo XVIII, intende computare gli anni decorsi dal momento della Nascita di Cristo; e l’altro al dire che l’anno 1800 esprime il primo del secolo XIX, computa dal principio del 754 di Roma, e a questi data la vera origine dell’Era cristiana, e non ha bisogno di modificare le sue operazioni cronologiche a co’ computi della nascita di Gesù. E così, per esempio, potrà dottrariamente calcolare in qual giorno della settimana ricominci l’anno denominato primo nel Calendario, e troverà (sapendo che l’anno 1840 incomincia con un mercoledì) che era nel giorno di sabato, perché tenga conto delle irregolarità della correzione Gregoriana.
G. Plana.
LETTURE POPOLARI N° 12 – 21 marzo 1840
UN POSCRITTO alla Lettera del Commendatore Plana inserita al numero 11 delle Letture Popolari.
A quei tali che non ancora convinti sulla questione dell’anno 1800, mettono in campo l’argomento relativo alla denominazione dei giorni del mese, risponda, che in buona logica io devo in questo momento: se del 17 marzo, cercando l’origine dall’inizio dell’Era; e non essendo il 17 marzo o 8; poiché il 17 marzo incominciò colla mezzanotte, e non è ancor decorso. Cosicché deduco che da ora decorre dal principio di questo giorno che, in questo istante, che sono le volte 24 più 8 e.n. In un periodo di tempo breve qual è un giorno, non v’ha inconveniente nella un poco esattore denominazione del 17 marzo ore 8; ma nella denominazione degli anni fu savissimo dividere uno stesso numero in modo che il numero pronunciato fosse quello della unità già decorso.
Torino 1840 marzo 17
G. Plana.
Il 4 aprile 1840, sul Messaggiere Torinese, N. 14, un articolo intitolato “DUBBI INTORNO AD UNA OPINIONE DEL SIGNOR COMMENDATORE PLANA riguardante un importante punto di CRONOLOGIA”, affronta il seguente dubbio formulato da Plana: “Hanno l’Era cristiana un anno zero? Ovvero come calcolare l’Anno 754 a Roma?”
Ultimo già computato? Od in altri termini: l’anno compiuto col 31 dicembre ultimo fu il 1839, ovvero il 1800 dell’Era cristiana? La questione è tutt’altro che nuova (già in vari scritti venuta alla luce a Parigi negli anni e nelle successive distrazioni, dotti uomini di scienza si chiedevano se l’era fosse riferita a Settecento). […] L’attenta lettura delle sue critiche (riferito alla prima lettera di Plana), anziché distoglierli dall’ardore di confutazione, sembrarli porgergli alle seguenti domande:
1° Dove mai volsi poggiare la gratuita supposizione […] che in vece di chiamare primo dell’Era cristiana l’anno 754 di Roma, siasi convenuto di chiamare con tal nome l’anno 755?
2° Non è ella una conclusione direttamente opposta alle premesse di dire in così sfidata convenzione che si abbia da riconoscere un anno zero che richiedeva il 754? – Succede infatti appunto il contrario […]. E sarà egli men logico l’argomento per dimostrare che a vera 1800 chiama primo del secolo XIX, eb di necessità che l’Era cristiana incominci con anno zero?
3° Con qual autorità intendersi di fissare categoricamente la nascita di Cristo alla fine dell’anno 754 di Roma, mentre i cronologisti, nell’impossibilità di attribuire la vera data, non ricordano solo nel riconoscere che esso dovette precedere di alcuni anni l’Era volgare? […] Ènoto del resto che allorquando fu nel VI secolo introdotto l’uso di datare gli anni della Nascita di Cristo, tenevasi che ella dovesse porsi al 25 dicembre dell’anno 753 di Roma; andando per questa ragione di principio all’Era dall’anno immediatamente succes- sivo, cioè dal 754; è noto pure che la più comune opinione colloca quest’avvenimento negli anni 748 o 749, e così a 5 anni innanzi il cominciamento dell’Era cristiana: ma nul- la di tutto ciò ha che fare col computo degli anni realmente decorsi dal principio del 754 di Roma, epoca inconcussa, cui si ammette aver origine l’Era corrente, detta pure dai Cronologisti, per convenzione, della Natività di Cristo: nel qual computo unicamente risiede la questione. 4° In fine (e qua sta il meglio) non è forse in assoluta contra- dizione colla tesi fondamentale lo ammettere, con sofiogogo anche di prove, ciò che è dall’altro è di fatto, che l’anno I non curi Augusto, sia il 767 di Roma, corrisponde all’anno 14 dell’Era cristiana, purché se ne ponga l’origine là dove finisce l’anno 753 ed incomincia l’anno 754? Irreparabile, essendo anche di fatto che la morte di Augusto trovasi un punto riferibile nelle tavole cronologiche dell’anno 14, o sia il 767 di Roma, e corrisponde all’anno 14 dell’Era cristiana, ponendo così in evidenza che il computo degli anni viene a prendere inizio proprio là dove finisce l’anno 753, e comincia quello che si dovrà chiamare l’anno primo romano, fermandosi al 755. […] E come tal uomo confessasse l’atto in un commento nella dottesca opera che compariva solo il 1840, o sia millesimo ottocentesimo quarantesimo dell’Era cristiana, e non il 1839! […] Ove abbiansi per insussistenti queste mie osservazioni, sarò tenuto grandemente a chiunque voglia assumersi il ca- rico di dimostrarle tali: conciossiachè per me, se cerco il vero null’altro, e tengo io per fermo dover in iscritto non voler dire, a basare al nome dell’autore, ma ai suoi ammonimenti di chiarezza logica nel ragionare. Torino, il 30 marzo del 1840
LETTURE POPOLARI N° 14 – 1840 aprile 4
Sovra un Punto importante di Calendargrafia Altra Lettera del Chiarissimo sig. Commendatore Plana al signor Professore Baruffi.
Torino 1840, 23 marzo.
Signor Abate mio carissimo. Per dare compimento alla spiegazione esposta nella lettera che Le scriveva il dì 5 del corrente, non sarà forse inutile, che io, inol- trandomi un poco più nell’argomento, aggiunga qui le seguenti riflessioni: Posta la base, che l’origine dell’Era cristiana debba essere col- locata nel punto preciso in cui finisce l’anno 753 di Roma, ed incomincia l’anno 754esimo, importa non perdere mai di vista, che anche nella denominazione degli anni di Roma, il numero intero esprime, non l’anno corrente, ma sempre il numero degli anni decorsi dopo la fondazione di Roma. Cosicché, per es., se la data 767 di Roma, significava essere già trascorsi li 767 anni interi, più il numero dei giorni com- presi fra il primo di gennaio ed il 19 di agosto dell’anno 768esimo. […] Riguardo all’anno 708 di Roma antica giova osservare che il principio di quest’anno è stato solennemente assunto pel principio dell’Era di Giulio Cesare, a norma della riforma del Calendario da esso ordinata. L’anno giuliano fu da lui stabilito, si dice, composto di 366 giorni. […] Ma dopo la morte di Giulio Cesare, avvenuta nell’anno 710 di Roma, i pontificati di Roma pagana, cui era abbandonata la direzione del Calendario, ne abusarono, attribuendo un giorno di inter- calazione tutti gli anni, e ciò per più volte successive, fino a falsare il computo. […] La cumulazione degli indugi erronei non presentava più la vera Epoca in cui doveva aver guarito la giudiziosa riforma di Giulio Cesare. Allora Augusto ristabilì la riforma e la rese fissa nel Calendario, e tolse dalla scala l’errore progressivo […] Parecchi attribuiscono a lui il merito di poterne dare indice, sì nota che filologi e cronologisti, quanto a determinazioni di eclissi lunari, convergono nell’ammettere questa necessità di correzione. […] Perché dunque ciò fosse fatto, Plinio il Maggiore, Dionisio e Tertulliano, ciascuno rapportava che a quell’atto di correzione del Calendario era misurata l’epoca in cui i giorni della setti- mana si venivano a definire con maggior precisione. Questa circostanza, come appare dalla storia, non fu da alcuno obliata, ed è giunta a noi, come la cronaca critica di Eusebio, testimone dei tempi. A queste osservazioni e riflessioni i cronologi moderni si mostrano fedeli, conchiudendo da esse la difficoltà di stabilire precisamente il giorno, l’ora, il minuto in cui è nata l’Era cristiana. Ma ecco che di questa difficoltà non rimane quasi più nulla, se fu ben posto che l’Era cristiana debba effettivamente aver princi- pio là dove finisce l’anno 753 di Roma, ed incomincia l’anno 754, senza ricorrere all’anno zero, contraddittorio in forza dei principi stessi dell’Arte di computare il tempo. In tal guisa l’anno 754 di Roma risulta essere il primo anno dell’Era cristiana, come giu- stamente ritennero i più riputati Cronologisti. Dopo tutte queste osservazioni, che attribuivano quello sposta- mento degli equinozi ad una delle accelerazioni dei medesimi, che lo stesso Plinio nelle sue storie rammenta come provenienti dall’ignoranza dei pontifici, si vede che col ripristino di Augusto la riforma del Calendario ebbe effetto; e così, pur riconoscendo le difficoltà nel determinare il giorno esatto dell’equinozio, risulta chiaro come la questione cronologica possa trovare una soddisfacente soluzione. Non riflettendo che da quell’epoca un astronomo, forse Manlio, misurò con esattezza la corrispon- denza all’obelisco supposto come punto di riferimento. E ciò dimostra quanto sia facile errare in siffatte questioni, se non siano ben ponderate, e senza nulla detrarre dalla grande considerazione dovuta a Plinio il Maggiore. Mediante tale ragionamento, le durate degli anni prima e dopo l’Era volgare, così come il calcolo dei cicli lunari, divengono in perfetta armonia con le valutazioni delle meridiane di cui parlarono Tacito e Tito Livio. La correzione non appare in contrasto con le tabelle astronomiche moderne. Ed è pur forza concedere che tali fenomeni, costituendo propriamente l’essenza dell’antica scienza del computo del tempo, si aprono alla verità attraverso l’oscurità dei discorsi retorici. Io rinnovo in tal modo la mia perfetta stima ed amicizia, assicurandola che saranno inalterabili al pari del corso con cui si succedono gli anni. Suo devotissimo ed affezionatissimo G. Plana.
APPENDICE
Sapete che una strada di Torino e un Istituto di Istruzione Superiore sono intitolati a Giovanni Plana?
La via dedicata all’astronomo Giovanni Plana inizia nell’angolo sud-occidentale di piazza Vittorio Veneto e si estende fino a incrociare via Giolitti, affacciandosi sulla graziosa e discreta piazza Maria Teresa. Corre parallela a via della Rocca, in un quartiere oggi caratterizzato dalla presenza di un’alta borghesia e di artigiani specializzati in mestieri d’arte, antiquariato e oreficeria, con prezzi a dir poco “astronomici”. Fermiamoci dunque qui, senza lasciarci tentare dallo shopping, in questo nostro itinerario ideale tra le strade torinesi dedicate alla scienza.
Anche un Istituto di Istruzione Superiore, il “Giovanni Plana” (IIS Plana), è una realtà scolastica dedicata al celebre astronomo. Ben radicata sul territorio, con un’offerta formativa piuttosto diversificata e orientata allo sviluppo delle competenze culturali, scientifiche e tecniche degli studenti.
Giovanni Antonio Amedeo Plana nacque a Voghera nel 1781, anno in cui William Herschel scoprì Urano. Figlio di Antonio Maria e Giovanna Giacoboni, a quindici anni simpatizzò per le idee della Rivoluzione Francese, tanto da dover abbandonare il Regno Sabaudo per rifugiarsi a Grenoble, dove entrò in contatto con lo scrittore Henri Beyle, meglio noto come Stendhal. Successivamente, a Parigi, ebbe come maestri Lagrange, Laplace e Legendre. Tornato in Italia, ottenne la cattedra di matematica alla Scuola imperiale di Artiglieria e nel 1811 divenne professore di astronomia all’Università di Torino, ruolo che mantenne per cinquant’anni. Non si trattò solo di un prolungato attaccamento al potere accademico: nel 1817 Vittorio Emanuele I gli conferì il titolo di “astronomo reale” a vita, sull’esempio della tradizione inglese.
Fu Plana a trasferire i limitati strumenti dell’Osservatorio di Torino dal Palazzo dell’Accademia delle Scienze alle torri di Palazzo Madama, dove rimarranno fino ai primi decenni del Novecento, prima di spostarsi sulla collina di Pino Torinese. Di Plana ricordiamo l’imponente opera in tre volumi dedicata alla “Teoria del movimento della Luna”, frutto iniziale di una collaborazione con Carlini interrotta da dissapori sia personali sia scientifici. Plana non aveva un carattere facile: arrivò a scontrarsi anche con Laplace a proposito delle irregolarità nel moto di Giove e Saturno. Curiosamente, in questo caso ebbe ragione lui, mentre l’interpretazione del grande matematico francese risultò errata.
Plana si legò alla famiglia Lagrange sposando nel 1817 Alessandra Maria, figlia del matematico Michele Agostino Lagrange, fratello di Joseph Louis Lagrange. Da questo matrimonio nacquero Luigi, morto a soli tre anni, e Sofia, la cui vita non fu affatto serena. Plana, invece, fu attivo fino a tarda età: morì il 20 gennaio 1864 a 83 anni, dopo aver tenuto una conferenza all’Accademia delle Scienze pochi giorni prima.
Oltre ai suoi eminenti contributi alla meccanica celeste, è particolarmente curioso ricordare il “Calendario Meccanico Universale” da lui realizzato. Oggi i calendari sono spesso effimeri, legati a mode e bellezze passeggere; Plana invece ne creò uno valido per ben 4000 anni, conservato nella sagrestia della Cappella dei Banchieri e dei Mercanti in via Garibaldi 25, accanto alla chiesa dei Santi Martiri. Questo dispositivo, realizzato nel 1831 con legno e carta, anticipa in modo sorprendente alcune soluzioni tecnologiche tipiche dell’era dei computer.
Il calendario di Plana è una straordinaria “macchina del tempo” dotata di memorie a tamburo, a disco e a nastro, in grado di contenere 46.000 dati. Attraverso un sistema di ruote dentate, catene e viti senza fine, consente di individuare qualsiasi giorno dal primo anno dell’era cristiana fino all’anno 4000.
Le difficoltà affrontate da Plana furono molteplici, sia sul piano teorico sia pratico. Le unità di tempo non si accordano facilmente: la settimana è una pura convenzione, il mese lunare è astronomico, il mese solare è convenzionale e ha durata variabile, le stagioni sono determinate da eventi astronomici ma non sono tutte eguali in lunghezza, mentre il secolo è un’unità arbitraria senza riscontro fisico. Un calendario “universale” deve quindi conciliare queste diverse misure di tempo, ognuna con le proprie peculiarità.
Inoltre, con la riforma gregoriana del 1582 si introdusse una modifica rispetto al calendario giuliano: per allineare tempo civile e tempo astronomico, si eliminò un intervallo di dieci giorni, facendo seguire al giovedì 4 ottobre 1582 il venerdì 15 ottobre. In aggiunta, la regola dei secoli bisestili cambiò, rendendo bisestile solo i secoli divisibili per 400 (per questo il 2000 lo fu, ma non il 1900 e non lo sarà il 2100). Anche di questa discontinuità il calendario di Plana doveva tener conto.
Non basta considerare soltanto giorni, settimane, mesi, anni e secoli: le festività fisse e mobili della tradizione cattolica complicano ulteriormente il quadro. Il giorno siderale (23 ore, 56 minuti, 4 secondi circa) non coincide con quello solare; la durata del mese lunare, fondamentale per calcolare la Pasqua, è di 29 giorni, 12 ore, 44 minuti e circa 2 secondi, e non si accorda con la suddivisione solare convenzionale. Le stagioni, determinate da equinozi e solstizi, non hanno la stessa lunghezza a causa dell’orbita ellittica terrestre: l’estate dura un paio di giorni in più dell’inverno perché la Terra è più vicina al Sole in gennaio, muovendosi quindi più velocemente. Le date d’inizio delle stagioni vengono tuttavia fissate convenzionalmente: 21 marzo, 21 giugno, 23 settembre, 22 dicembre. L’anno dura circa 365 giorni, 48 minuti e 45 secondi, ma subisce piccole variazioni a causa delle perturbazioni gravitazionali dei pianeti. Con la riforma di Gregorio XIII, anche il secolo diventa una variabile da gestire.
Considerando questi fattori, si arriva al ciclo solare di 28 anni, dopo il quale le date si ripetono identiche. Ad esempio, per individuare la prima domenica di marzo di qualunque anno dell’era giuliana (1-1582) basta dividere l’anno per 28 e usare una semplice tabella. Nell’era gregoriana è necessario adattare la tabella, ma il ciclo trentennale solare resta valido. C’è anche un “ciclo lunare” che deriva dalla difficile conciliabilità tra l’anno solare di 365 giorni (suddivisi in 12 mesi) e le 12 lunazioni che totalizzano circa 354 giorni, a cui si aggiungono le lunazioni “embolistiche” per compensare lo sfasamento. Nell’arco di 19 anni solari si contano infatti 19×12 lunazioni normali più 6 lunazioni embolistiche, per un totale di 6.939 giorni. L’epatta e la “lettera domenicale” servono per stabilire la data della Pasqua e delle altre festività mobili (Settuagesima, Ceneri, Ascensione, Pentecoste, S.S. Trinità, Corpus Domini). Plana riuscì a dipanare questo groviglio nel suo calendario, un’impresa tale da giustificare il suo carattere scontroso e poco malleabile.
Comments