Al virus dell’influenza aviaria basta una singola mutazione per adattarsi ai mammiferi: un nuovo studio solleva timori su un potenziale salto di specie verso l’uomo
La recente comparsa di focolai di influenza aviaria altamente patogena (HPAI) del sottotipo H5N1 in diverse popolazioni di uccelli selvatici e domestici a livello globale ha messo in guardia virologi, epidemiologi e autorità sanitarie internazionali. L’attenzione è ora focalizzata su un tema critico: la capacità del virus di adattarsi ai mammiferi, e potenzialmente all’uomo, con poche mutazioni puntiformi. Un articolo pubblicato sulla rivista Science porta nuova luce su quanto sia breve il passo evolutivo necessario affinché H5N1 diventi in grado di trasmettersi in maniera efficiente tra mammiferi, incrementando così il rischio di una futura pandemia influenzale umana.
Il contesto: H5N1 e la sua limitata circolazione umana
Fin dalla sua prima comparsa negli anni ’90, il virus dell’influenza aviaria altamente patogena H5N1 ha suscitato preoccupazioni per la sua elevata mortalità negli uccelli e, sebbene in misura minore, per i casi umani sporadici ma letali che ha provocato. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), le infezioni umane da H5N1 restano relativamente rare, ma sono associate a un tasso di letalità alto, superiore al 50% nei casi confermati. Fortunatamente, fino ad ora, il virus non ha acquisito una trasmissibilità sostenuta tra le persone. Uno dei principali fattori limitanti è la differente conformazione dei recettori presenti nelle vie respiratorie di uccelli e di umani, nonché la minore efficienza di replicazione del virus negli ospiti mammiferi. Tuttavia, i virus a RNA, come quelli influenzali, sono noti per la loro capacità di mutare rapidamente, generando nuovi ceppi in grado di superare barriere di specie.
Lo studio su H5N1 e i mammiferi
L’articolo di TING-HUI LIN e colleghi pubblicato su Science si concentra sul potenziale adattamento dei virus H5N1 ai mammiferi. Gli autori hanno esaminato virus H5N1 derivati da diverse fonti, analizzando le mutazioni acquisite durante il passaggio dall’ambiente aviario a quello di mammiferi sperimentali (come i furetti) o di mammiferi effettivamente infettati in natura. Questi studi sono essenziali, poiché i furetti rappresentano un modello animale considerato molto simile all’uomo per lo studio dell’influenza. Le ricerche citate nell’articolo suggeriscono che la presenza di specifiche mutazioni in geni virali chiave – ad esempio nella polimerasi virale (segmento PB2) – può incrementare la capacità del virus di replicarsi con maggiore efficienza nelle cellule delle vie respiratorie dei mammiferi.
Il punto centrale della ricerca è che un numero sorprendentemente ridotto di cambiamenti genetici (una o poche mutazioni) risulta sufficiente a rendere più agevole l’adattamento di H5N1 ai mammiferi. Questo può includere mutazioni che consentono al virus di legarsi con maggiore affinità ai recettori presenti sulle cellule umane, o che ne migliorano la stabilità e la replicazione a temperature proprie del tratto respiratorio umano. In alcuni casi, mutazioni nel gene PB2 sono state chiaramente associate a una maggiore capacità del virus di replicarsi nei mammiferi. Anche se l’articolo di Imai e colleghi non sottolinea un singolo cambio aminoacidico come “la mutazione definitiva”, emerge chiaramente il quadro di un virus che, con poche alterazioni puntiformi, potrebbe superare la barriera di specie.
Esempi di adattamento in contesti reali
Un episodio particolarmente allarmante è stato il rilevamento di focolai di H5N1 in mammiferi selvatici o in allevamenti di mammiferi. Ad esempio, i recenti casi di H5N1 in visoni allevati in Spagna (Richard et al., 2023) hanno dimostrato che il virus può effettivamente fare un “salto” da uccelli infetti a mammiferi, e potenzialmente acquisire mutazioni adattative una volta all’interno della nuova specie ospite. Questo solleva importanti interrogativi: se il virus riuscisse a circolare tra i mammiferi per un periodo sufficiente, potrebbe accumulare progressivamente quelle poche mutazioni necessarie a trasmettersi in modo efficace tra esseri umani?
L’articolo su Science sottolinea come questi adattamenti non siano pura teoria. Gli autori descrivono studi condotti su virus sperimentali in laboratorio e rilevamenti in situazioni reali, in cui i virus prelevati da mammiferi infetti mostrano cambiamenti genetici coerenti con l’adattamento. Questi dati indicano che la barriera tra specie non è così invalicabile come sperato, e che un fenomeno di adattamento in un ospite intermedio (come certi mammiferi) potrebbe essere la via maestra verso una futura epidemia umana.
Dall’ecologia del virus alle conseguenze per la salute pubblica
La capacità dei virus influenzali di adattarsi a nuovi ospiti è il risultato di un complesso gioco evolutivo. Gli uccelli selvatici fungono da serbatoio primario per molti sottotipi di influenza, diffondendo il virus su vaste aree geografiche. Il contatto con animali domestici (pollame, suini, bovini) e selvatici (come i visoni o altri mammiferi carnivori) può creare “ponti ecologici” tra ospiti distanti. Ogni passaggio è un’occasione per generare nuovi varianti.
Se il virus H5N1 dovesse acquisire stabilmente le mutazioni necessarie per infettare efficacemente l’uomo, il risultato potrebbe essere devastante. L’esperienza della pandemia di influenza del 1918, così come quella da virus H1N1 del 2009, mostra l’impatto globale che questi patogeni possono avere sulla salute umana e sull’economia. Tuttavia, rispetto al passato, oggi disponiamo di tecnologie avanzate per monitorare il virus in tempo reale, identificare mutazioni pericolose e sviluppare rapidamente vaccini mirati.
Monitoraggio e prevenzione: una corsa contro il tempo
La sorveglianza virale, sia negli uccelli che nei mammiferi, è ora più cruciale che mai. Le autorità sanitarie internazionali, come l’OMS e l’Organizzazione Mondiale per la Salute Animale (WOAH), hanno ribadito la necessità di un monitoraggio costante. L’analisi genetica sistematica dei ceppi circolanti consente di rilevare tempestivamente le mutazioni chiave. La condivisione globale dei dati, attraverso piattaforme come GISAID, è essenziale per identificare rapidamente eventuali segnali di adattamento del virus ai mammiferi.
Le misure di controllo del contagio negli allevamenti di uccelli e di altre specie animali, la separazione delle popolazioni e la riduzione delle opportunità di contatto tra uccelli selvatici e domestici risultano fondamentali per prevenire ulteriori salti di specie. Inoltre, la protezione degli operatori a contatto con animali potenzialmente infetti e la sorveglianza dei sintomi negli esseri umani che lavorano in contesti a rischio sono misure preventive imprescindibili.
Prospettive per la ricerca scientifica
La ricerca si sta concentrando sull’identificazione delle mutazioni chiave, comprese quelle nella polimerasi PB2 o nell’emoagglutinina (HA), la proteina di superficie del virus responsabile del legame ai recettori delle cellule ospiti. Comprendere il meccanismo con cui singoli cambiamenti aminoacidici aumentano l’affinità per i recettori umani, migliorano la replicazione a temperature corporee mammifere, o permettono di eludere le difese immunitarie innate, può guidare lo sviluppo di strategie terapeutiche. Ad esempio, vaccini universali contro l’influenza, ancora in fase di ricerca, potrebbero fornire una protezione ampia e duratura contro ceppi diversi, limitando l’impatto di eventuali nuove pandemie.
Allo stesso modo, antivirali potenti e disponibili su larga scala potrebbero ridurre la circolazione del virus in fase iniziale, evitando che un focolaio locale si trasformi in una crisi globale.
Il lavoro di TING-HUI LIN e colleghi, pubblicato su Science, rappresenta un segnale di allarme da non sottovalutare. La capacità di H5N1 di adattarsi ai mammiferi attraverso poche mutazioni molecolari indica che la barriera tra specie non è insormontabile. Un simile adattamento aumenterebbe il rischio di una trasmissione interumana sostenuta, con tutte le conseguenze che ne potrebbero derivare a livello globale.
L’umanità ha già sperimentato l’impatto delle pandemie influenzali e oggi, più che mai, ha gli strumenti per riconoscerne i segnali in anticipo. Se si saprà agire con prontezza, implementando rigorose misure di biosicurezza, intensificando il monitoraggio virale, investendo nella ricerca e mantenendo una comunicazione trasparente e tempestiva, si potrà ridurre significativamente il rischio di subire un nuovo grande shock pandemico. Nel frattempo, questo studio e altri simili rafforzano il messaggio che la sorveglianza, la cooperazione internazionale e l’innovazione scientifica sono le armi più efficaci nella lotta ai virus emergenti.